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Napalm Death – Apex Predator / Easy Meat

2015 - Century Media Records
grindcore

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Tracklist

01. Apex Predator – Easy Meat
02. Smash A Single Digit
03. Metaphorically Screw You
04. How The Years Condemn
05. Stubborn Stains
06. Timeless Flogging
07. Dear Slum Landlord…
08. Cesspits
09. Bloodless Coup
10. Beyond The Pale
11. Stunt Your Growth
12. Hierarchies
13. One-Eyed
14. Adversarial / Copulating Snakes

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Senza girarci attorno troppo: questo (disco) farà male. Beh, ‘sticazzi, quale disco dei Napalm Death ha fatto bene, direte, volendo anche giustamente, voi. E io vi dico che QUESTO FARA’ MALE.
“Apex Predator – Easy Meat”, sedicesima canocchia sui genitali di questa macchina devastatrice proveniente dalla terra d’Albione, è, e lo dico già svestito in attesa della lapidazione in pubblica piazza da parte dei più puritani dell’impuro, è uno dei migliori lavori della vita negli anni zero della brigata del napalm.

Il perché è molto semplice: mentre il mondo estremo della musica va verso l’involuzione (volontaria, involontaria, bella, brutta, dire, fare, baciare, lettera, testamento), prendendo per assodati gli schemi di un primitivismo grind e facendoli propri non scostandosi di un millimetro uno da essi, una delle band madre di questo movimento di pura ferocia tende a smarcarsi da sé pur rimanendo più originali di qualunque altro simulatore seriale. Certo, certo, non è la prima volta che ai Nostri viene in mente di non tirare dritto per la strada costruita da sé medesimi, ma il modo in cui lo fanno in questo album è al massimo delle proprie capacità e quindi racchiude una classe abominevole.

Dividerò dunque il disco in due categorie distinte:
Cosa cambia (pur restando acciaio temprato nel marcio del mondo): prendete la title-track che è pure la traccia d’apertura, prendete la voce meccanica proveniente dallo spazio siderale di Barney Greenway, prendete i suoi rumorismi industriali (e, badate bene, si tratta di un’influenza molto più teutonica che altro) a mò d’incedere tribale che sale fino a trasformarsi in un grido di pura disperazione. Prendete la lentezza doomifica di “Dear Slum Landlord”, dal canto epico/catacombale, e dalle mutazioni del linguaggio Melvins (avete letto bene) il tutto condito da folgori di chitarra che divelgono lo stomaco, e, a proposito di Melvins, salutate “Cesspit”, che si fa beffe del dritto hc di scuola classica e lo mischia ai modi di fare (e latrare) di King Buzzo. O ancora prendetevi (un calcio sulle gengive) sul groove ustionante di “Hieriarchies”, che racchiude un cuore di provenienza devintowsendiana in cui la melodia (e avete di nuovo letto benissimo, lercioni) diventa potenza/gioco forza/amore a primo ascolto. Ma poi godetevi pure le dissertazioni ulceriche di “How The Years Condemn” e la loro posizione anomala sui tempi classici del genere.

E in seconda analisi:
Cosa rimane (e rimane per lasciarvi dei bei chiodi del condotto uditivo): la doppietta asfissiante di “Smash A Single Digit” e “Metaphorically Screw You” sono il testamento ferale del grind tutto, e nella seconda anche pura infezione e cancrena che sgorga in modo obliquo verso estremità (o estremismi) black, o ancora l’odio cannibale in levare di “Stubborn Stains”, o ancora la tracheotomia grind-hc di “Bloodless Coup” e ancora senza pietà alcuna un Mitch Harris inferocito grida “corpo a corpo” con Barney e fa a pezzi ciò che rimane ancora in piedi. E via discorrendo. E via distruggendo.

“Se Satana ha creato il grind come si dice, in “Apex Predator – Easy Meat” è dove ha riposato il settimo giorno”. (Scusa Garth Ennis se ti ho parafrasato così).

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=33OZfCUsomk[/youtube]

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