Un ascoltatore prevenuto potrebbe sbagliarsi facilmente sui Lord Dying: il loro aver recentemente firmato un contratto con la Relapse, stessa etichetta dei carissimi e lerciosi Red Fang, potrebbe spingere a ritenere di essere di fronte a una tranquilla passeggiatina drink’n’roll. Beh, non esattamente.
Dopo il buon Summon the Faithless del 2013, questo nuovo lavoro ritrova il gruppo ancora più diretto e aggressivo del precedente, unendo un attacco brutale sui tempi medi a una buona creatività nei riff.
I nostri, sostanzialmente, provano a flettere i muscoli in ogni direzione concedendosi però solo 36 minuti, a tratti riuscendo a raggiungere dei risultati brillanti come in Offering Pain (and an open minded center), offrendo momenti gustosissimi come l’assolo finale di Darkness Remains.
Eppure il ricordo che si ha dell’album non è mai particolarmente splendido, come se la somma dei singoli componenti non riuscisse mai a elevare la media più di tanto. Sarebbe forse stato meglio lavorare su una maggiore compattezza del tutto, pure l’ottima produzione più di tanto non riesce a risollevarne le sorti.
E dunque così è, c’avevamo sperato ma Poisoned Altars, purtroppo, non riesce a salvarci dalla mediocrità di inizio 2015, è come se anche questa volta non fossero riusciti ad andare oltre il marchio di band promettente. Non fraintendetemi, un’ascoltata, però, gli si può sicuramente dare e anche con piacere ma difficilmente cambierete idea su di loro.
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