Le chitarre sono uno degli strumenti di gran lunga più usati nella musica, per questo fanno sentire quasi a casa, si sa cosa possono fare e la cosa ci tranquillizza non poco. E per questo i Luminal non ne hanno, perché il basso riesce a dare esattamente l’effetto opposto. Sono maestosamente cupi, ruvidi, dissonanti con onore.
Testi che non risparmiano nulla (Anna e il Caldo che fa rabbrividire), che sfatano i miti personali, che rianalizzano la vita dal punto di vista di chi non ha mai avuto voce, che offendono, spingono alla riflessione. Le voci si alternano determinate, suonano alle orecchie come una pietra in faccia (una pietra che vuole colpire, e a tutta velocità). Un pornoattore che diventa guardia forestale grazie a “qualche consiglio sulla passera”. O forse no, sono sempre abbastanza criptici e allusivi, difficile poter dire di aver profondamente compreso cosa volevano comunicare.
Si colgono, sparsi ovunque, un po’ di rimandi alla musica italiana: storpiati, gracchianti, rabbuiati. In mezzo ad una batteria che parte e non si ferma mai, a due bassi (due bassi è il mio sogno personale divenuto realtà) distorti, che corrono e urlano e feriscono. Tutto è perfetto, calibrato insieme per suonare bene con le peggiori intenzioni.
Se un album del genere non vi piace, se non riuscite a capire perché hanno insito qualcosa di assolutamente geniale, allora forse è meglio se la vostra ricerca musicale si fermi qui: fissatevi con le chitarrine, che vi siete trovati bene. Se volete qualcosa che puzzi di sperimentazione, che trasudi suoni nuovi e mirabolanti, che ferisca e faccia sorridere, benvenuti: poca acqua azzurra, molto Totò Riina, splendido.