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Faith No More – Sol Invictus

2015 - Ipecac / Reclamation Records
metal / alternative

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Tracklist

1. Sol Invictus
2. Superhero
3. Sunny Side Up
4. Separation Anxiety
5. Cone of Shame
6. Rise of the Fall
7. Black Friday
8. Motherfucker
9. Matador
10. From the Dead

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“Sol Invictus” è un disco che nasce nel pregiudizio della band storica che anzitutto si riunisce e poi cerca di giustificare la “rinascita” con un disco nuovo. Come (mi) è già capitato coi Vista Chino/Kyuss il risultato è mediocre. La frase più quotata sulla bocca dei fan d’annata dei Faith No More è, ovviamente, “dopo quasi vent’anni d’assenza vogliamo un disco esplosivo” e invece ciò che stringiamo in mano è un’ombra.

Dal canto mio ci ho sperato, ho evitato le sterili polemiche pregiudiziali ed ho atteso il momento dell’ascolto, perché mi sono rotto il cazzo di ascoltarmi sempre i soliti vecchi dischi. Poi l’evidenza si è palesata: la vena creativa di Patton si sta seccando e i suoi soci seguono a ruota. Ma la storia dei Faith No More riparte esattamente da dove si era fermata, ossia dal mediocre “Album Of The Year”, perciò non si cade esattamente di faccia sul cemento con conseguete perdita dei connotati.
Vorrei fare delle battute, del sarcasmo, essere cinico e disilluso ma devo far fronte ad una delusione di tipo adolescenziale, non che i FNM siano mai stati il progetto pattoniano preferito da sottoscritto ma…ma niente…Questo disco è poco più che inutile, è un disco di spunti, anche interessanti in alcuni casi, ma purtroppo è anche un lavoro di rimandi, uno su tutti “Superhero” che ci rispedisce ai Tomahawk per direttissima, che non è male ma è BANALE. E non basta tirare in ballo evoluzioni crooneristiche (già ampiamente, e saggiamente, utilizzate in “King For A Day…”) e svisate di epico pianismo per rendere onore a sé stessi poiché il risultato è la noia mortale del primo minuto di “Matador”, seppur superando questo scoglio ci si ritrovi faccia a faccia con uno sfavillante e inatteso riff black metal accompagnato dai tribalismi tanto cari a Bordin; divertente ma ennesimo rimando (ai lidi Bungle stavolta ma senza le idee malate e la classe di Spruance) la psicotica ficcatina pop di “Sunny Side Up” con tanto di grida di rito che fan sempre piacere (ma non godere); forse con “Cone Of Shame” i nostri volevano farci tornare in mente “Evidence” con tanto di inserti ficcanti e violenti ma siamo sempre da capo: “già fatto e pure meglio di così”; bella stronza è invece “Separation Anxiety”, dritta e intarsiata di bassismi hardcoreggianti ma che porta sempre il segno del Tomahawk impresso in fronte.
Se tutto sembra in qualche modo perduto possiamo godere dell’ibrido violenza/acusticismo balzano di “Black Friday”, che pende verso il garage più zozzone e lo “crossoverizza” a dovere con il proprio dna stronzetto ma che al terzo ascolto vi farà prudere le dita (pronte a skippare traccia) e il culo (a causa dei soldi spesi per il disco); purtroppo in chiusura ci tocca ascoltare “From The Dead” che dei sixties prende i sintomi più inutili e fastidiosi, corettacci compresi, e idea di fondo che dalla morte alcune cose non dovrebbero mai tornare. E ‘sticazzi che Patton non voglia una reunion che conta solo i vecchi pezzi, i vecchi dischi e tutte le altre same old stronzate: per tornare bisogna aver quel tanto di palle in più che permettano ad una band che è stata caposaldo di un nuovo modo di intendere il “rock” moderno (con buona pace di Mike che non ha perso occasione per discostarsi da quanto fatto per la nascita del crossover) di non essere una macchietta che fa il disco compitino come giustificazione all’enorme classe di studenti sbavanti in attesa di qualcosa di nuovo.

Ahinoi, miei cari Faith No More, il detto “morior invictus” non vi s’addice più. E temo che il vostro “sole” sia stato sconfitto proprio da voi stessi.

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