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Blur – The Magic Whip

2015 - Parlophone
britpop

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Tracklist

1.Lonesome Street
2.New World Towers
3.Go Out
4.Ice Cream Man
5.Thought I Was A Spaceman
6.I Broadcast
7.My Terracotta Heart
8.There Are Too Many Of Us
9.Ghost Ship
10.Pyongyang
11.Ong Ong
12.Mirrorball

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Correva l’anno 2003 quando i Blur pubblicavano “Think Tank” e la tensione, all’interno del gruppo, saliva alle stelle: Graham Coxon abbandonava il gruppo, Damon Albarn parlava alla stampa, annunciando la probabile fine della carriera di una band divenuta autentica istituzione sulla scena britpop (e non solo) nel corso degli anni novanta. Mai confermata, certo, ma sempre più verosimile dopo un decennio in cui ciascuno dei membri è andato per la sua strada. Praticamente ridotte al lumicino, le speranze dei fan si sono riaccese in seguito a un annuncio – involontario – del “Sun”. Solo incredulità, all’inizio, ma era tutto vero. A metà 2013, il grande ritorno (anche figlio del caso) ha iniziato a prendere forma in uno studio Hong Kong. Un concerto saltato, un’idea di Coxon: dopo dodici anni, di nuovo Blur. È successo di tutto, in questa piccola eternità.

E in “The Magic Whip” si sente. Ci sono i Blur classici, quelli vecchi, quelli che hanno fatto la storia. Ma anche i nuovi, figli di tutte le esperienze, i progetti e le strade secondarie percorse in questo periodo. Già l’opening track suona classica e riporta a metà anni novanta: “Lonesome Street” ha in sé qualcosa di “Parklife” e inserti elettronici. “New World Towers”, invece, è un richiamo abbastanza evidente a “Everyday Robots”, con il suo incedere lento e con l’atmosfera malinconica che domina, poi il clima cambia con “Go Out” e il suo coretto à la“Girls and Boys”.
Il disco segue quest’andamento per tutta la sua durata, oscillando fra momenti più vivaci e altri che scorrono evocando scenari cupi e un senso di nostalgia. “I Broadcast” è uno dei pezzi migliori, l’impronta è quella di “Song 2”: ci sono le carte in regola perché diventi l’inno dei Blur del nuovo corso, grazie al binomio fra un sound fresco e pimpante, ai confini del garage, e il delicato tema dei rapporti interumani gravemente danneggiati dall’(ab)uso delle nuove tecnologie. “There Are Too Many Of Us” è scandito dalla batteria, è un pezzo dal forte impatto emotivo, in cui l’amarezza dell’isolamento in una metropoli come Hong Kong è il tema portante e si traduce anche in termini musicali. Sguardo rivolto ad Oriente anche con “Pyongyang” (qui, come si può evincere dal titolo, prevalentemente alla Corea del Nord) e “Ong Ong”, la prima caratterizzata da un senso d’inquietudine, la seconda decisamente più allegra. “Mirrorball” è una buona chiusura per un album che sancisce un momento importante della storia della band e del britpop tutto.

“The Magic Whip”: a tratti romantico, a tratti innovativo. Non è né un capolavoro, né il miglior album dei Blur: è, però, un bellissimo lavoro di una band che ha saputo ritrovarsi e ritrovare un feeling importante, fatto di rimandi al passato e interessanti novità che ammiccano ad altri generi  (“Ice Cream Man”, “Ghost Ship”).

La paura della bocciatura è stata inutile, i Blur conservano lo stesso smalto, concedendo pochissime sbavature in dodici tracce, alcuni pezzi di livello molto alto. Promossi. Lontani dall’eccellenza, ma anche (e soprattutto) ben oltre la sufficienza. Bentornati.

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