Tre dischi in undici anni. Già questo dato dovrebbe dire qualcosa riguardo l’atipicità di Meg, artista che le cose le fa quando le sente e dunque, si potrebbe dire, artista vera. Il suo esordio negli anni ’90 al fianco dei 99 Posse è ben noto; un esordio che in modo naturale, come un battito d’ali, ha portato la musicista napoletana verso una carriera solista che l’ha premiata fin da subito, innalzandola a “principessa” della musica alternativa italiana. Il mix vincente di Elettronica e Pop, modernità e tradizione, atmosfere ipnotiche e uno stile canoro riconoscibile come un incisione a fuoco, è presente anche in “Imperfezione”, terzo raffinato lavoro in cui Meg si offre prima di tutto come se stessa.
In questi otto brani emerge un approccio forse maggiormente gioioso e luminoso rispetto alle dance-inquietudini del passato. Meg sembra prima di tutto divertirsi, facendo trasparire la leggerezza e la consapevolezza di un’artista che non vuole diventare una “figa da classifica”, fare il giudice ad un talent o vincere Sanremo, ma solo fare la propria musica. Una musica che, rispettando il conept del disco, è imperfetta in quanto vera; imperfetta come un fiore di campo, come un naso acquilino o come un gatto di strada. L’idea è proprio quella di non avere paura dell’imperfezione, ma anzi di cercare la bellezza insita in essa.
L’inizio in stile Urban jungle di “Concerto per” – “Il confine tra me e te” è la partenza perfetta: frizzante e ritmata, si erge a manifesto della nuova Meg. Segue poi la bellissima titletrack, dai suoni più tipicamente algidi e minimal e con un ritornello (quasi anti-melodico) che fa della ripetizione la sua forza. Un chorus più orecchiabile lo si trova invece, subito dopo, in “Occhi d’oro”, che riesce a trattare il banalissimo tema del “Dove c’è amore c’è casa” in modo per niente banale. Questa capacità di rendere sofisticato il quotidiano è in effetti la capacità più sorprendente di Meg, che sa portarci in galassie lontane senza nemmeno uno straccio di astronave: basta rimanere immobili e chiudere gli occhi.
Districandosi tra i suoni lunari di queste canzoni, in un equilibrio precario tra lento e veloce, paralisi sonore e ritmi inaspettati, si arriva con dolcezza e armonia alla riuscitissima reinterpretazione di “Estate”, successo del 1960 di Bruno Martino, proposto qui in chiave “Megghiana”.
Si chiude così “Imperfezione”, un disco curato e raffinato che ci racconta del ritorno di una Meg ancora ispirata e appasionata, con quel tocco di amore in più verso le proprie impefezioni che, infondo, sono quelle di tutti noi.