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Luciferi – Fiat Lux

2015 - L'Odio Dischi / Bleu Audio Records
noise / rock

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Tracklist

1. La Caduta
2. Sulfurea
3. Santa Maria
4. The Airborne Toxic Event
5. Democracy
6. Drowning In The Middle Of The Sea

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Luce e ombra. Ying e Yang. L’eterna tensione degli opposti che si attraggono. La contraddizione. L’insostenibile dualismo delle cose. La costante lotta interiore fra quello che consideriamo sbagliato e ciò che consideriamo giusto.
In un mondo in bianco e nero – dove tuttavia le sfumature si appropriano di una porzione sempre più consistente dello spettro – si incastona il nuovo prodotto discografico dei Luciferi.

Nemmeno a dirlo, questo secondo EP della band noise strumentale parmigiana si intitola “Fiat Lux”. Una scelta banale o una semplice questione di coerenza?
Senza dubbio, un titolo simbolico che sembra voler rispecchiare quella sensazione di sollievo che nasce dall’essere riusciti finalmente a ritrovare la strada.
Chiunque di voi si sia mai trovato a creare qualcosa o anche soltanto a provarci con tutto sé stesso può rendersi conto di cosa sto parlando, ma cercherò lo stesso di essere più preciso.

I Luciferi nascono nel 2012 dalla chitarra di Alberto Manfredini, dal basso di Davide Mora e dalla batteria di Carlo Guareschi, con un sound all’efedrina che costituisce il succo concentrato del primo EP, intitolato “V”. Indovinate da quante tracce era composto?
Dopo un periodo di promozione del disco nei vari locali di Parma e provincia e il conseguente consolidamento di un buon seguito, nel 2014 i nostri danno alla luce – è proprio il caso di dirlo – il secondo EP della loro carriera. Un disco di svolta personale, nel quale si percepisce netta l’evoluzione artistica dei membri del gruppo rispetto ai primi vagiti del 2012.
Le sonorità si spogliano dei facili orpelli, diventano più agili e sprigionano energia primordiale. I nervi affiorano sulla pelle fino a scoprirsi. Fremono ipersensibili e si nutrono dell’elettricità dell’aria, contribuendo nel contempo ad alimentarla.

Ma cosa sono i Luciferi?

Contraddizione e paradosso. O almeno, questo è ciò che vogliono essere – se riescono nell’intento forse lo scopriremo prima che lo spazio a nostra disposizione sia terminato. Ma prima di tutto questo, i Luciferi sono sguardi truci, sudore e devozione. Nell’occhio del ciclone brucia rabbioso il sacro fuoco dell’arte, che tutto divora inesorabile. Un bisogno, un’urgenza, a stento contenibile. Come un prurito sottocutaneo dal quale non è possibile trarre sollievo. Come il piacere che nasce dal dolore. D’altra parte, chi di noi sarebbe in grado di negare lo stretto legame che intercorre fra il dolore e l’atto della creazione? Secondo voi è un caso che le idee si partoriscano? La domanda è retorica e la risposta è “no”. Se proprio dovete credere nel Caso, dovete almeno essere preparati ad accettare il concetto di precisione del Caso. Pensateci un po’ su.

Il disco si apre con “La caduta” e fin da subito possiamo percepire che qualcosa è cambiato.
L’evoluzione artistica di cui sopra non è più una semplice figura retorica: è l’inquietudine generata dall’immobilità; la goccia di sudore freddo che sgorga dalla tensione nervosa; è occhiatacce e rassegnazione.
Sembra di vederlo, Lucifero – l’angelo più brillante, il favorito – scagliato con inaudita violenza dall’alto dei Cieli fin dentro al cuore incandescente della Terra. Possiamo percepirne l’immane furore per l’onta subita. Tutto questo in una composizione retta da una struttura che sorprende per semplicità ed efficacia. Un gioco ben riuscito di tensione e distensione.
A seguire, “Sulfurea” è uno stoner tribale e allarmato. A tratti ricorda i Kyuss di “Wretch” e “Son of Kyuss”, con cinque chili in meno. Un flusso di onde sonore saturo, diffuso, con buone aperture infilate al punto giusto. Il duello degli opposti prosegue e si raffina.
La voce riverberata e monocorde di un predicatore ci guida dentro le atmosfere allucinate di “Santa Maria”. Un viaggio in prima persona nella dimensione distorta di una mente instabile, a tratti paranoica. La realtà che ci circonda, filtrata dalle pupille dilatate di uno sguardo in costante, febbrile allerta. Una sensazione di pressante premura. Di tensione verso qualcosa o qualcuno, che non si risolve mai. Costantemente frustata da quell’inesorabile condizione di immobilità e impotenza che sembra essere il nodo gordiano che lega l’opera alle menti dei suoi creatori.
“The Airborne Toxic Event” è una canzone tipicamente sludge, con forti contaminazioni noise. Non particolarmente evocativa ma comunque in sintonia con l’atmosfera predominante nel disco. Lunghi accordi fortemente distorti, ognuno separato dall’altro da quattro canoniche battute. La struttura è tanto arcaica – per non dire archetipica – quanto salda.
La parabola discendente dell’inquietudine sembra qui sfiorare il suo apice negativo, fermandosi per un unico – immobile – istante di cinque minuti e 51 secondi.
“Democracy” si rivela particolarmente interessate, calata nel contesto storico in cui viviamo – spettatori come siamo del declino della democrazia o forse semplicemente di una sua evoluzione, non certo semplice da affrontare in corso d’opera. Il monologo eliopetresco di Gian Maria Volonté – dal film “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” – fa da sfondo a quello che sembra il disperato tentativo di un naufrago di riemergere fra le onde di un mare impietoso.
Questa lotta per la sopravvivenza finisce per rivelarsi fatale, con la traccia conclusiva del disco “Drowning In The Middle Of The Sea”. Uno stoner teso, con venature psichedeliche, il cui outro riesce a porsi come ottima colonna sonora per un affogamento tragico, ineluttabile e quanto mai allegorico.

C’è qualcosa di tremendamente attuale nella retorica musicale di questi ragazzi. Una sintesi armonica delle loro vite e della loro percezione del nostro tempo. Una testimonianza storica.
Vi sento già scalpitare. Avete mai provato a visualizzare il percorso segnato dalle tracce di un disco su un piano cartesiano?
Alcuni dischi disegnano delle “parabole positive”, altri delle “parabole negative”. Altri ancora seguono un andamento sinusoidale o addirittura iperbolico.

Inizialmente pensavo che il percorso di questo EP seguisse una parabola che raggiungeva il suo apice incrociando l’asse negativo delle Y, ma facendo più attenzione mi sono accorto che sbagliavo. Il percorso delineato dalle sei tracce di questo disco mi ha portato a disegnare una vera e propria radice quadrata, della quale le tre tacce iniziali rappresentano il primo tratto ascendente.
“Airborne” segna la seconda linea, quella discendente, che arriva a toccare il punto più basso prima di iniziare la ripida eppure rapida risalita di “Democracy”, per poi assestarsi sul solco conclusivo di “Drowning”.

Una radice quadrata che conduce a un risultato tanto irrazionale quanto affascinante per la varietà di interpretazioni a cui si presta.

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