Per il sottoscritto ascoltare un disco difficilmente catalogabile ed eclettico, intriso di cambi di ritmo improvvisi e così ricco di sfumature dal punto di vista musicale è una goduria…soprattutto se i diversi ingredienti che compongono il lavoro sono amalgamati in maniera armoniosa, come nell’album d’esordio dei Lorø. Si capisce subito dal primo ascolto che il livello tecnico del trio strumentale di Padova è sopra la media e che non siano dei musicisti alle prime armi; ciò lo si evince anche dalla cura degli arrangiamenti e dei suoni sempre molto studiati e mai banali, grazie anche al fatto che il disco, coprodotto da 5 etichette indipendenti, è stato registrato tra Bologna e Verona con l’accurata regia di Enrico Baraldi, bassista degli Ornaments.
Il brano di apertura “Pollock”, per il quale è stato girato anche un video, è denso di sonorità sintetiche e suoni elettronici, è il synth che la fa da padrone, math-rock/core con un pizzico di industrial. La successiva “Thalia”, con le sue armonie arabeggianti, è ancora più articolata e con un intermezzo psichedelico che ci conduce lentamente a sonorità vicine a band come Russian Circles ed i nostrani Ornaments, per poi tornare nel finale a trame dal sapore mediorientale . La meravigliosa, sebbene un po’ più sporca a livello di suoni, “A Trick Named God” è una lunga suite che mi ricorda molto il sound nervoso degli ZU. Si prosegue poi con un altro vero gioiellino, “High Five”, dove emergono addirittura echi quasi “jazz” e dove la qualità e la raffinatezza degli arrangiamenti è davvero notevole, basti ascoltare l’ottimo utilizzo del piano Rhodes.
Dopo una traccia quasi “ambient rumoristica“ come “Ø”, messa in mezzo al disco come spartiacque, si arriva ad “At Mortem” , altro brano molto interessante ed accattivante, e qui si nota come non mai la bravura e l’abilità della band nello spaziare tra generi differenti ed apparentemente molto lontani fra di loro, dal math-rock spigoloso in crescendo dell’inizio alle atmosfere psych, fino alle incursioni industrial (sfido chiunque a provarci!) che vanno a sfociare in uno pseudo post-hc per poi ritornare sui binari dell’inizio.
È chiaro come ai Lorø non manchino personalità e voglia di osare: questo potrebbe rendere il disco non facilmente assimilabile ed ostico per chi non è avvezzo a certe sonorità, ma sicuramente non indifferente a chi apprezza la buona musica ed è aperto mentalmente a sperimentazioni e commistioni tra vari generi . Il lavoro chiude con il botto, un terzetto di brani tosti e ruvidi: “Clown’s Love Ritual” con i suoi ritmi ossessivi vagamente alla Helmet così come “Faster, Louder & Better”, e infine la muscolosa e conclusiva “To Whom It May Concern”, con un basso claustrofobico in primo piano.
Decisamente promosso il debutto dei Lorø.