Prima di lanciarsi nel progetto Ophiuco (Hypno Queue, 2007), Marino Peiretti e Paolo Zangara erano già stati insieme negli IK14, progetto di punta della scena drum&bass italiana a cavallo del 2000. In mezzo, è d’obbligo ricordare come Zangara sia stato impegnato con un altro meraviglioso progetto: i Lo.mo, insieme Roberto Binda, storico leader degli immensi Bartòk. Chiusa parentesi.
Già dall’esordio del 2007, gli Ophiuco avevano impresso un marchio abbastanza definito al loro suono, figlio della scena di Bristol, con atmosfere oscure e rarefatte, nonché la voce femminile (di Ilaria Nicolini) a fare da padrona.
Per quanto riguarda il ritorno sulle scene, che si è fatto attendere ben otto anni, l’etichetta di trip hop rimane la più appropriata, la radice drum&bass si sente e non si può non cedere al paragone un po’ banale con i mostri sacri Massive Attack e Portishead. Ma in questo nuovo lavoro c’è di più, come suggerisce anche il titolo: Hybrid. Infatti, si percepisce un tentativo di contaminazione, di incontro-scontro tra più anime e strutture musicali. Un ibrido, appunto, per una mescola tra ambient dilatato, forma canzone, melodia, rock.
L’aspetto più interessante è rappresentato sicuramente dall’uso delle chitarre, ora perfettamente integrate con l’atmosfera oscura e ipnotica, ora usate come a voler creare uno strappo nella magmatica base elettronica per far filtrare uno spiraglio di luce. Una matrice di fondo dai contorni nitidi, ma pezzi molto diversi tra loro nello sviluppo: monolitici e compatti (Desert), altri più variegati e ricchi di contrasti (Pneumatic Psycho Bodhidharma), la dilatata Ground, la strumentale Transitional Eyes, pezzi con voce maschile (Trip, Scrowls of Intentiones) che possono rievocare i Tindersticks più sperimentali.
Gli Ophiuco ci regalano un album molto interessante, che sorprende per la varietà dei pezzi, la tanta carne messa al fuoco, la voglia di sperimentare e ibridarsi, ma senza mai perdere la coerenza di fondo e la chiarezza d’intenti.