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Kurt Vile – B’lieve I’m Goin Down…

2015 - Matador
folk / country / songwriting

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Tracklist

1. Pretty Pimpin
2. I’m An Outlaw
3. Dust Bunnies
4. That’s Life, Tho (Almost Hate To Say)
5. Wheelhouse
6. Life Like This
7. All In A Daze Work
8. Lost my Head there
9. Stand Inside
10. Bad Omens
11. Kidding Around
12. Wild Imagination

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A guardarlo, Kurt Vile sembra sempre un tizio piazzato lì per caso. Anche sulla foto di copertina del nuovo “B’lieve I’m Goin Down…” ti da esattamente questa impressione, che si rivela sbagliata non appena metti su il disco. Se già coi lavori precedenti il giovane cantautore americano ci aveva dimostrato tutta la sua classe, con questo album alza l’asticella di un’altra tacca. Registrato in nove studi differenti (uno dei quali è il famigerato Rancho De La Luna di mr. David Catching) e con una formazione che vede avvicendarsi agli strumenti, oltre ai “soliti” Violators Rob Laasko e Jesse Trbovich, nientemeno che Kyle Spence e Creston Spiers degli sperimentatori del doom Harvey Milk e Stella Mozgawa delle Warpaint.

Insomma, non esattamente gente di primo pelo. E, difatti, non ci si trova davanti ad un disco da sbarbati (non che Vile ne abbia mai fatto davvero uno, sia chiaro) bensì ad una serie di brani portatori di pura emozione, enormi castelli sonori che passano per flebili composizioni “da nulla”, quasi scarni, come fossero una matrioska musicale, un caleidoscopio del folk-rock-indie tutto: la splendida opener “Pretty Pimpin” con una selva di chitarre che sbucano da ogni dove e dalle pazzesche acrobazie vocali (l’incastro della frase: “saturday came around and I say: who’s this stupid clown blockin’ the bathroom sink” è da brividi), lo schiaffo folk di “I’m An Outlaw” trafitta da una melodia di banjo degna solo dell’ultimo Wovenhand, la lezione pop-rock a là Peter Buck (Minus 5 era) di “Dust Bunnies” (solo a me pare che Kurt faccia “il verso” al primo Iggy Pop qui?), la folies country piano-centrica di “Life Like This” o, ancora, il fingerpicking magistrale ed epicamente “full of sadness” di “All In A Daze Work” che da il là all’incedere happy stronzetto di “Lost My Head There”, una sorta di ipotetico calcinculo ai lavori in solitaria di Jack White nonché foriero di un certo Beckianesimo spinto (saranno i synth che svolazzano qua e là, o la voce sorniona, who knows). Neanche ve lo devo dire che i testi di questo signore qua sono belli, se già lo conoscete sapete perfettamente che la sua penna trasuda una serie di emozioni che fanno della tristezza e di una sorta di ironia grigia uno stile quasi unico.

In parole povere in un’epoca di melodie intercambiabili fatte apposta per essere dimenticate, Kurt Vile (a braccetto con Micah P. Hinson e pochi altri) è ancora in grado di creare musica che è qui per restare.

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