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Shining – International Blackjazz Society

2015 - Spinefarm Records
jazz-core / black

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Tracklist

01. Admittance
02. The Last Stand
03. Burn It All
04. The Last Day
05. Thousand Eyes
06. House Of Warship
07. House Of Control
08. Church Of Endurance
09. Need

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Ci vogliono due palle cubiche in puro adamantio per fare quello che fa Jørgen Munkeby. Passare dal free jazz ECM-oriented di “Where The Ragged People Go”, primo album dei suoi Shining ad elevare, assieme ai Jaga Jazzist, il linguaggio della big-band ad uno step superiore a chiunque altro (pareggiano solo gli Snarky Puppy) per poi tornare alla sua creatura con un’idea di evoluzione distorta. In tutti i sensi. Quando, nel 2010, Munkeby e soci danno i natali a quel capolavoro di psicosi che è “Blackjazz” nessuno si aspettava a) una simile ventata di aria fresca al linguaggio del “metal altro” e b) un tale successo. Ma quando gente come questa scrive un capolavoro è perché ha qualcosa in mente. E così il Nostro, da qui in poi, gioca a carte scoperte e crea, come al tempo fece Trent Reznor battezzando ogni lavoro dei suoi Nine Inch Nails come “Halo” (non li cito a caso, ma già lo sapete), una sorta di “concept” sotto il vessillo di questo fantomatico “blackjazz”.

Diventa così un percorso che porta direttamente alla nascita del nuovo “International Blackjazz Society”, sorta di manifesto per la conquista della parte musicale di questo sporco mondo attraverso il “nuovo” linguaggio del jazz nero. Lo dimostra l’artwork che vede una bella mappa del globo stile libro di storia in cui le fasi della conquista partono dalla natìa Norvegia fino a coprire l’intero globo. Pretenzioso? Assolutamente sì. Ma se si sta al gioco ci si può solo divertire, poiché è proprio un “serio divertissement” che va a formare il contenuto di questo disco, che null’altro è che un tributo a quell’industrial rock che ha preso forma tra gli anni ’80 e ’90 sotto l’egida di Jourgensen e Reznor creando una pletora di figli, affiliati, orfani e bastardi non sempre all’altezza della situazione.

Ebbene gli Shining lo sono. Di elementi ce ne sono quanti ne volete: c’è “Admittance”, la “solita” sberla Zorniana con tanto di sax in pieno svalvolo, gli anthem ferini in pieno stile NIN di “The Last Stand”, che dalla lordura (dance)rock pesca molto e fa letteralmente saltare nel ritornello, e ancora il furioso rasoio “Last Day” (si palesa qui l’ombra dei tedeschi KMFDM), entrambe impreziosite dall’elemento sassofonistico blackjazz. Intanto la faccenda si fa Ministry dalle venature Mansoniane (inevitabile; il pagliaccio non è sempre stato tale, ha influenzato più di una voce, facendo più danno che guadagno, ma non è questo il caso) nello stomp rabbioso di “Burn It All”, corroso dalle melodie spooky di chitarra e synth, mentre Uncle Al fa nuovamente capolino nel trapano ultradistorto della disperata “Thousand Eyes”. L’eclettica macchina di Munkeby non sa, però, andare solo ai 120 all’ora e così tira il freno sul blu(es) elettrico della splendida “House Of Control”, sei minuti di melodia sotto forma di “ballad” all’anfetamina. Chi è avvezzo al linguaggio reznoriano non potrà fare a meno di sentire l’ombra del quasi plagio sulla finale “Need”, ma è un rischio che si corre quando si tributa qualcosa a questo modo.

Se volete tirare le somme “IBS” è un disco che farà impazzire gli amanti dell’industrial statunitense, mentre inorridiranno coloro che chiedono a gran voce un ritorno al 2010, ma Munkeby è stato chiaro dicendo: “Don’t fucking tell me what to play/I’ll always disobey/Until my last day/I’ll go my own way”. Fatevene una ragione.

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