Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Sunn O))) – Kannon

2015 - Southern Lord
drone / doom

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Kannon 1
2. Kannon 2
3. Kannon 3

Web

Sito Ufficiale
Facebook

Devo ancora riprendermi dalla stroncatura che Stefano I. Bianchi ha piazzato in faccia ai Sunn O))) e al loro nuovo “Kannon” sulle pagine di Blow Up. Non so quanto sia bello iniziare una recensione parlando di un’altra recensione che parla a sua volta dello stesso disco che sto recensendo. Niente stronzate surrealiste, suvvia, solo devo capire. Non sono pronto ad un’altra delusione proveniente dalla premiata ditta Anderson/O’Malley, perché il disco in collaborazione con quel dio dall’ugola di catrame che è Scott Walker ancora mi gira in testa e ancora mi da il voltastomaco. Senza esagerare è stata una delusione del tipo: la squadra di calcio per cui tifi ha comprato un campione e quest’ultimo fa una stagione di merda. Schietto e senza fronzoli ti verrebbe da dirgli: “che cazzo fai?”, conscio del fatto che nessuno ti capirà, poiché tutti tendono al buonismo e a salvare i grandi del passato. Ad ogni modo, dicevo, devo capire, dunque faccio partire il disco. Lo ascolto una volta, poi la seconda, poi mi fermo a pensare. Ragiono. Sono combattuto. Ma andiamo per gradi.

Tra i solchi di “Kannon” si muovono oltre ai due frati dronici la solita allegra combriccola che vede Oren Ambarchi a coadiuvar chitarre e vomitare elettrostasi malate, Randall Dunn dietro al synthetismo analogico e Attila Csihar che diventa cantore oscuro e usa l’ugola come Satana comanda, mentre gli esterni del caso sono Steve Moore che nel suo lungo peregrinare ha incrociato il cammino con gli Earth, Skerik, Sufjan Stevens e Bill Frisell e che qua si diletta a far vibrare un bel Juno 106, Rex Ritter dei Jessamine alle prese con la magia del Moog e Brad Mowen (uomo dietro le pelli dei The Accüsed, Burning Witch e Master Magician Of Bukkake).
I numeri per godere ci sono tutti ma…Sì, c’è un “ma”, non vorrei ci fosse ma preme sulle pareti del mio guasto cranio…ma devo dare in parte ragione a Bianchi. Quello che passa tra le mie orecchie danzando tra le sinapsi è un disco classico alla Sunn O))), senza novità rilevanti né momenti di mero stupore, è quello che ci si aspetta dal dopo “Monolith & Dimensions” (che, a differenza del redattore di Blow Up, io ritengo essere un gran disco) e non credo sia proprio una cosa positiva, nel campo di una sorta di “avanguardia”, che comunque avanguardia non è più. I tre movimenti del disco sono una colata di droni sciamanici che ci portano ad un bivio: se prendi la biforcazione a destra il disco è uno dei migliori accompagnamenti per meditazione usciti negli ultimi anni mentre se prendi l’altro sentiero arrivi al più grande scoglionamento possibile. La melodia si muove molto di più che in passato, sempre sepolta dal feedb(L)ack proposto dai Nostri, ma lo fa con insufficiente verve, e non si sviluppa come vorresti, ti lascia lì ad attendere. Il tutto avviene su “Kannon 2”, pezzo sul quale entra in campo tutta la gentaglia di cui sopra, in cui i sintetizzatori analogici cantano mentre Attila prega dèi sconosciuti agli umani e le chitarre martoriano la pace e stuprano il Nirvana infettandolo di un dolore calmo seppur rovente. I restanti due “brani”, invece, sono la solita cosa, non sono brutti (sempre che in casi come questo si possa parlare di bello o brutto) ma sono scontati ed ovvii. “Grazie al cazzo”, direte voi, “è di drone che stiamo parlando” ma, onestamente, non è quello cui i Sunn O))) ci han da sempre abituato. Quantomeno non in tempi recenti. Mi sta benissimo creare tensione, scivolare sotto l’ombrello dell’ipnosi e goderne appieno gli effetti venefici, ma da qualche parte vorrei che s’andasse, uno di questi giorni. E per me i risultati migliori della discografia del duo statunitense sono sempre stati raggiunti quando i temi sordi dell’idea drone sono sbocciati in melodie spaziali. Il problema è che questo risultato (e in questo album ne ho la riprova) Greg e Stephen sembran ottenerlo solo quando a danzare con loro ci sono partner di classe.

Ragiono ancora. Cerco una conclusione a questa recensione (che è più un pensiero, un interrogare il nulla per raggiungere uno stramaledetto parere, e per ciò mi scuso con voi cari lettori), ma ho timore di non riuscire a trovarla. Sono ancora al bivio e non riesco a decidermi. Probabilmente “Kannon” rimarrà uno dei più grandi dischi interrogativi di tutta la mia collezione.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni