Doveva essere elettronica sperimentale, poi è apparso Maximilian. In pillole, è questo che ha raccontato Max Gazzè a proposito del suo ultimo disco, che arriva a pochi mesi dall’ingresso nel suo ventesimo anno di carriera. Dopo il disco e il tour con Fabi e Silvestri, Gazzè era tornato in studio per registrare un disco ben diverso da quello che, invece, ci troviamo ad ascoltare. Ma pare ingeneroso definirlo un male, perché un pizzico di tensione sperimentale permea anche “Maximilian”, definito dallo stesso autore “un quadro con tanti colori”.
In fin dei conti, è di pop che si tratta. Ma è quel pop brioso, imprevedibile, a tratti istrionico al quale il buon Max ci ha abituati. Dentro, infatti, c’è molto di più: passaggi dal levare funky (l’ormai celeberrima “Sotto Casa”, presentata a Sanremo 2013 e diventata popolarissima), accenti più rockeggianti, tappeti elettronici ora moderni e ora dai richiami vintage. Dieci pezzi condensati in meno di quaranta minuti, fra cui il singolone radiofonico “La Vita Com’è”, che fra spunti balkan e trame latineggianti, brilla solo in termini di originalità. Più convincenti sono “Teresa”, “Nulla”, che stupisce col suo incedere rock e la sua eleganza sostenuta dagli archi o “In Breve”, in cui anche il songwriting è molto convincente, mentre “Disordine d’Aprile” è uno dei pezzi più atipici, con una parte elettronica marcatissima ma non invadente.
Max Gazzè, ancora una volta, supera abbondantemente la sufficienza. Non brilla, soprattutto a causa di testi forse un tantino meno ispirati, mediamente, rispetto al passato, ma convince grazie a un sound mai banale e sempre piacevole.