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Marlene Kuntz – Lunga Attesa

2016 - Sony
rock / alternative

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Tracklist

1. Narrazione
2. La noia
3. Niente di nuovo
4. Lunga attesa
5. Un po’di requie
6. Il sole è la libertà
7. Leda
8. La città dormitorio
9. Sulla strada dei ricordi
10. Un attimo divino
11. Fecondità
12. Formidabile


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Ventidue anni dall’uscita del primo disco, dieci album all’attivo (escludendo i vari Ep e le raccolte live), tre bassisti cambiati nel tempo, uno meglio dell’altro (mettendo da parte il genio di Maroccolo in quanto componente temporaneo della band)..no, non stiamo dando i numeri! Quando si parla di gruppi evergreen come i Marlene Kuntz non si può fare a meno di mettere nero su bianco ogni dettaglio necessario, affinché si possa capire l’importanza che gli stessi hanno nel panorama musicale da poco più di vent’anni a questa parte. La band cuneese ritorna alla grande dopo il lunghissimo tour di Pansonica, in occasione del ventennale del capolavoro Catartica, che li ha visti peregrinare in lungo e in largo per l’Italia (prevedendo anche qualche data all’estero) e che li ha probabilmente motivati e spinti verso la scelta di sonorità meno morbide e più graffianti.

Lunga Attesa” è un ensemble di dodici brani che ripercorrono, se li si ascolta con la dovuta attenzione, quasi ogni tappa della discografia dei benvoluti Kuntz, partendo da La Noia (a tratti paragonabile a Cometa, per la ritmica rabbiosa e le chitarrone distorte che si evincono di tanto in tanto), proseguendo per la titletrack Lunga Attesa (in altri termini un misto tra Paolo Anima Salva e Bellezza con, però, un testo meno saturo di preziosismi, della quale oltretutto colpisce la seconda parte che differisce in toto con la prima grazie alle chitarre di Tesio che la portano a livelli davvero alti), o ancora la splendida La Città Dormitorio, che riconduce a L’Inganno, emblema di quella fase tanto discussa quanto affascinante dei Marlene di “Bianco Sporco“, disco dell’ormai lontano 2005. Ritmo cadenzato, battente, nervoso e testo che ammalia in modo inaudito. Il resto della tracklist di “Lunga Attesa” oscilla in modo ostinato tra suoni che furono e suoni che, in tempi non remoti, sono stati.

Sul piano lirico non si presentano eccezionali divergenze con i dischi precedenti, lo stile della penna di Godano non si smentisce neanche in questa caso. A fare da sfondo a chitarre intrecciate in modo supremo come sempre, alle pelli che non deludono mai di Bergia e al basso dell’ormai integratissimo Saporiti vi sono contesti grondanti attualità (come in Niente Di Nuovo in cui si menzionano fatti accaduti nell’arco dell’ultimo anno, “Charlie Hebdo”, “migranti in fuga su dei barconi” e via dicendo) e l’amore che distrugge gli animi o che permette di raggiungere alti e viscerali apici di sensualità (come in Un Po’ Di Requie, Il Sole è La Libertà e Un Attimo Divino).

Come spesso accade quando tra le mani si ha un disco che rende euforici, non è tutto oro quel che luccica. Non per spegnere l’entusiasmo costruito stando a quanto riportato sin ora, ma ad onor del vero questa decima fatica firmata Marlene Kuntz presenta vorticosi  e notevoli momenti di stanca. La già menzionata Un Attimo Divino, per dirne una, fa venire alla mente la beatlesiana Here Comes The Sun coverizzata dai quattro artisti piemontesi qualche anno fa…Se non fosse che poco oltre i due minuti si apre qualche secondo di cantato-recitato in stile La Lira Di Narciso, e nel complesso ciò che colpisce del brano è la monotonia. Un discorso analogo è da farsi a proposito di Formidabile, brano di chiusura del disco, il quale vagamente fa riecheggiare nelle orecchie di chi ascolta La Cognizione Del Dolore un po’ da ogni punto di vista, peccando anch’essa seppur tutto somato piacevole. 

Quello che rende immensamente grande una band come quella in questione è che piace indipendentemente dal prodotto a cui da vita, i Marlene Kuntz nel corso della propria carriera sono stati criticati, sminuiti e in tanti casi abbandonati, ma è bene che si rifletta su di un punto: un gruppo di tale calibro, con una mole di anni di carriera tale alle spalle e una voglia di “pestare duro” (quasi) come quella di vent’anni fa, resta inevitabilmente nella testa, nelle orecchie e soprattutto nel cuore dei più.

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