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Baroness – Purple

2015 - Abraxan Hymns
rock / prog

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Tracklist

01. Morningstar
02. Shock Me
03. Try To Disappear
04. Kerosene
05. Fugue
06. Chlorine & Wine
07. The Iron Bell
08. Desperatin Burns
09. If I Have To Wake Up (Would You Stop The Rain?)
10. Crossroads of Infinity

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Com’era quel detto? “Ciò che non ti uccide ti fa fare dischi pazzeschi”. Non era così? Poco importa, lo riadatto ben volentieri a “Purple”, nuovo, sfavillante disco dei Baroness. Dicendo “sfavillante” vi ho spoilerato il resto della recensione ma, d’altronde, nell’epoca di Youtube, è possibile che voi il disco in questione il disco lo abbiate già anche ascoltato, e allora che ci stiamo a fare noi scribacchini? Anche qui, poco importa poiché “ciò che non ci uccide ci fa fare recensioni lo stesso”. E fino a qui avete potuto leggere un estratto dal manuale “I dieci modi per scazzare l’introduzione ad una recensione musicale”, quindi conviene che io torni a parlare del disco.

Quarta fatica in studio della band capitanata da John Dyer Baizley che arriva a tre anni da quel mezzo capolavoro che fu “Yellow & Green” (capolavoro e pomo della discordia tra vecchi fan del quartetto e nuova guardia) e mostra non poche novità. Anzitutto il cambio di line-up avvenuto in seguito al brutto incidente che ha coinvolto la band durante il tour del suddetto disco: in uscita Allen Blickle e Matt Maggioni e dentro una nuova sezione ritmica nelle vesti di Nick Jost e Sebastian Thomson. Le altre novità sono tutte contenute all’interno di questo nuovo capitolo cromatico del gruppo statunitense. Il cambiamento iniziato nel precedente disco trova qui forma compiuta e matura prendendo quasi definitivamente le distanze da ciò che è stato prima.

I Baroness che sentiamo in questi dieci solchi sono qualcosa di inusitato. I rapper direbbero che “questa roba è fresh” e lo è per davvero. Siccome il legame tra un disco e un altro c’è sempre, a fare da trait d’union con il recente passato troviamo l’opener “Morningstar”, pezzo che non stonerebbe affatto nell’album giallo e verde, con il suo forte richiamo ai granitici riff legati e ai soli di chitarra a là Mastodon tanto cari sia alla band che ai loro fan della prima ora, ma il mutamento è dietro l’angolo e mostra la nuova pelle già nel ritornello di questo pezzo. Non a caso ho citato la band di Tory Sanders e soci poiché questo è un album che avrebbero voluto far loro ma non sono mai riusciti a scrivere. Sarà questione di classe, che cazzo ne so, ma tant’è, qui ce n’è da vendere e si mostra in tutto il suo splendore in “Shock Me”, titolo perfetto per un brano che spiazza senza “se” e senza “ma, entra in scena la nuova pelle della combriccola di Baizley, ed è scintillante figlia degli anni ’80, synth melodici ad introdurre un pezzo figlio tanto dei Tears For Fears che del pop psichedelico novantiano, ritornelli galattici, chitarre ridotte all’osso, melodia collante ed impossibile da rimuovere dalla testa. Quasi fossero l’incarnazione degli Yes del periodo “90125” i quattro piegano l’istinto progressivo al proprio volere e creano pezzi incantevoli, lo dimostra “Try To Disappear”, che al tempo che fu sarebbe stato un perfetto “singolone da classifica”, lirismo ai massimi livelli, Baizley in forma smagliante, l’istinto ferino delle chitarre prog “pestate” inchinato al baroque-pop e ai sintomi “funk” tanto cari alle sei corde delle band synth pop della decade ottantiana. “Kerosene” è un passo indietro e due passi avanti, mette i piedi nella furia alt-metal per poi immergersi in una sorta di avant-pop a “matriosca” da cui spuntano synth gorgoglianti e chitarre acustiche cristalline.
La presenza di David Fridmann dietro al banco mix è una dichiarazione d’intenti chiarissima, la strumentale “Fugue” è un’esplosione di Mercury Rev down in the seventies, così come la pazzesca “If I Have To Wake Up (Would You Stop The Rain?)”, straziante ballata shuffle dalle tinte acide. Non è tutto oro quel che luccica e il piede in fallo i quattro della Georgia lo piazzano in “Chlorine & Wine“, ridondante prova di forza classic rock che, onestamente, non ho compreso. Poco male perché a sanare questa caduta c’è “Desperate Burns”, vera e propria cartella math, tagliente e furiosa, giusto per non farci mancare una piccola gemma di violenza arcigna e debordante.

Non si può parlare di questi Baroness come di una band (alternative) metal influenzata da un certo tipo di “leggerezza”, bensì di un gruppo baroque-prog-pop che al suo interno ha deciso di incorporare particelle heavy. Una muta sbalorditiva che fa di “Purple” un nuovo inizio, o almeno così spero.

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