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Kanye West – The Life Of Pablo

2016 - G.O.O.D. / Def Jam
hip-hop

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Tracklist

01. Ultra Light Beams (feat. Chance the Rapper, The-Dream, Mary J. Blige)
02. Father Stretch My Hands Pt. 1 (feat. Kid Cudi and Desiigner)
03. Father Stretch My Hands Pt. 2 (feat. Kid Cudi and Desiigner)
04. Famous (feat. Rihanna and Swizz Beatz)
05. Feedback
06. Low Lights
07. Highlights (feat. Young Thug)
08. Freestyle 4
09. I Miss the Old Kanye
10. FML (feat. The Weeknd)
11. Real Friends (feat. Ty Dolla $ign)
12. Wolves (feat. Sia, Vic Mensa, and Frank Ocean)
13. Silver Surfer Intermission
14. 30 Hours
15. No More Parties in L.A. (feat. Kendrick Lamar)
16. FACTS (Charlie Heat Version)
17. Fade (feat. Post Malone and Ty Dolla $ign)

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The Life of Pablo arriva in un momento della carriera di Kanye dove è evidente che la perdizione regna sovrana. Non solo l’album ha visto una gestazione più difficoltosa del solito, aggravata dalla mancanza di una filosofia di sottofondo che aveva sempre animato gli altri lavori del nostro, ma nelle ultime settimane West su Twitter ha sparato a zero su ogni possibile cosa, inanellando una serie di “pr disaster” talmente tipici suoi che hanno perfino smesso di essere sorprendenti.

L’ultima settimana prima dell’uscita, poi, ha visto una valanga di continue modifiche sulla tracklist, con aggiunte e rimozioni dell’ultim’ora, con guest che andavano e venivano neanche fossero a un allegro festino. Coerentemente alle nostre aspettative, Life of Pablo è un disastro. Come fosse Crash di Ballard, è un incidente tra due macchine con  morti e feriti che, però, non riuscirete a smettere di ammirare, poiché viene da uno degli artisti con maggior talento del pianeta. Discutere se sia o meno il suo album peggiore è come discutere se il neo sul collo che ho visto ieri oggi sia più grande, quel che importa è ciò che trasmette TLOP al pubblico di West.

Questo ne esce fuori con il suo tipico gigantesco ego malamente tenuto sotto controllo, celato dietro un inquietante velo di spiritualità e condito con le immancabili sparate di stupidità a cui Yeezy ci ha abituato praticamente da sempre. Su TLOP troviamo certi pezzi che sembrano a malapena usciti dal loro stadio di demo, malamente rabberciati e presentati come fossero finiti quando, palesemente, non lo sono. In un certo senso potremmo definirlo il suo “Hail to the Thief”, una collezione di esperimenti, alcuni tremendamente riusciti e affascinanti, a tratti discordanti e alcuni direttamente irritanti e inutili.

Ultralight Beam riesce a spiazzare già da subito, fondendo gospel e hip-hop con uno slancio progressive come nessun altro artista sulla piazza, Kanye ci introduce al suo “god dream”, ponendo un tappeto di aspettative fin troppo alte che, alla fine, si divertirà a smontare quasi a ogni piè sospinto. Non a caso in Freestyle 4 il nostro parte con la libido a dodicimila, delirando di scopare in pubblico, farsi fare un pompino mentre gli archi lo spingono avanti.
In effetti Kanye aveva pubblicizzato il nuovo album come altamente religioso, eppure l’elemento che meglio funziona su TLOP è proprio il muoversi maldestramente tra la spiritualità elevata e la materialità più imbecille, particolarmente evidente nelle due diametralmente opposte parti di Father Stretch my Hands. Demone e angelo si alternano costantemente, se un minuto Yeezy sembra attento alle problematiche del prossimo e di chi lo circonda, il momento dopo è di nuovo perso completamente nel suo ego: non esiste la separazione delle due anime.
E così arriviamo a Famous, dove Rihanna ruba il ritornello a Nina Simone (da Do What You Gotta Do) e poi Kanye prende il via con i suoi riferimenti tipici, tra cui il fatto che tutto sommato lui e Taylor Swift potrebbero ancora scopare, perché no? Subito dopo si autocita con “Wake up Mr West”, da Late Registration, dando ancora più forte l’impressione che TLOP sia davvero la summa finale delle esperienze discografiche precedenti. Low Lights invece mi sembra un momento gospel alquanto inutile, dove una voce femminile (sconosciuta) parla della grazia del Signore su una base di pianoforte. Spirituale quanto volete, ma personalmente preferisco la mia spiritualità servita su un piatto meno spoglio.
E nonostante io conosca bene i trucchi di West, ancora rimango stupito alla sua capacità di spogliarsi completamente con un pezzo come FML, dove rivela le sue paure, il fatto di tradire sua moglie per una sciacquetta qualunque, di volersi sacrificare per coloro che ama. Su tutto The-Weeknd tira giù un hook perfetto e tremendamente sincero, l’unione dei due è talmente ben riuscita da far venire voglia di sentire altro.
Quel che meno preferisco di TLOP è che se fosse veramente finito con Wolves, da cui purtroppo Kanye ha tolto il verso di SIA, probabilmente lo avrei amato alla follia. Invece tocca sorbirsi la realmente inutile 30 Hours, come bonus track, dove Kayne si masturba su un tappeto musicale così così, portandola avanti per troppo tempo, ma non finisce lì. Per carità, No More Parties in L.A. vede un duetto tra West e Kendrick Lamar spettacolare su una base isterica seventies, mentre Facts ci restituisce finalmente il Kanye incazzato che infarcisce tutto di sample da Street Fighter 2 (sì sì, davvero) accompagnato da grassi synth che sembrano volervi assaltare le orecchie. Difficile lamentarsi di cotanto bendidio, ma queste non sono altro che aggiunte dell’ultim’ora per fare numero e non lasciare troppi pezzi orfani.

Eppure, nonostante le dodicimila contraddizioni appena descritte, quel che più mi stupisce è che il nostro ha ritirato l’album dopo pochi giorni in streaming e, al momento, sta lavorando su una seconda versione che potrebbe, chissà, avere perfino altre canzoni o altre versioni di quello che ho ascoltato. Gene Fowler diceva “nessun libro è mai finito, ma solo abbandonato”, forse potrebbe valere lo stesso per The Life of Pablo, potremmo considerarlo completato solo quando Kayne deciderà di abbandonarlo e passare ad altro. Sarà lui a decidere quel momento, per adesso non possiamo che continuare a seguire con interesse quel tremendo incidente e vedere quante altre carcasse di auto ci vanno a finire dentro.

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