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Voivod – Post Society

2016 - Century Media Records
thrash / prog / metal

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Tracklist

01. Post Society
02. Forever Mountain
03. Fall
04. We Are Connected
05. Silver Machine (Hawkwind Cover)

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Esercizi di stile. Un bel libricino di Queneau, diranno alcuni di voi, e bravi, vi risponderò io, ma aggiungo anche: i dischi dei Voivod da diversi anni a questa parte. Dai, non prendiamoci per il culo, i Voivod ci piacciono, da sempre, per il proverbiale “piede in due staffe”, a cavallo di un vermone di Dune, certo, ma pur sempre “un piede in due cazzo di staffe”. C’è poco da fare, Away e soci non si muovono di un passo da ciò che sono sempre stati, quel che fanno lo fanno come nessun altro al mondo ma la faccenda è chiusa qui.

Lungi dall’avere una carriera inattaccabile (le loro incursioni nell’industrial (che poi..industrial…) di “Negatron” e “Phobos” ce le ricordiamo tutti, io lo faccio con ben poco piacere ad esempio, così come il disco omonimo, osannato da tutti, ancora non ho capito perché (sarà per la presenza, peraltro ininfluente di Jason Newsted, chi lo sa?)) comunque i canadesi hanno dato una gran bella svolta alla misura thrash metal, prendendo l’ignoranza di genere piegandola ad una progressione degna di pochi. E fin qui ci siamo.

Dunque, sarà cambiato qualcosa con il nuovo EP chiamato “Post Society”? Ovviamente no. Copertina da leccarsi i baffi firmata come sempre da Langevin, che riporta alla mente l’artwork di “Cities”, disco (pazzesco) di field recordings uscito a nome Away nel 2013, e cinque pezzi d’ordinanza, che più d’ordinanza non si può. C’è il tributo, sicuramente volontario, ai Motorhead nella title track, con tanto di cavalcata speed ed estensione progressiva quota “Nothingface” e assolo frippiano in omaggio, c’è il saluto vero e proprio all’amico Lemmy che arriva con la cover di “Silver Machine” degli Hawkwind, chiamatissima e che non lascia spazio a nulla di ragguardevole, come invece ci si aspetterebbe. C’è l’anomalia spezzata della ferale “Forever Mountain”, dalle parti di “Angel Rat”, volendo, e la violenza thrash al cubo di “We Are Connected” con Snake in gran spolvero, alieno come sempre con quel tocco a là Jaz Coleman che fa sempre piacere sentire, tocco che torna sull’intensa “Fall”, pezzo forte della situazione colmo com’è di melodie spiazzanti, botta e risposta di chitarre feroci e bassi altrettanto maligni e spettri asfissianti di un futuro antico. Poi basta. E il “problema” non sono le poche tracce, è che proprio non c’è null’altro.

L’avrete già capito da soli, signori miei, l’EP che viaggia tra le vostre orecchie sarà un piacere solo se siete fan di vecchia data del quartetto, in tal caso, sarete contentissimi di viaggiare nello spazio assieme a questa vecchia, ma non vetusta, astronave thrash. In caso contrario…

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