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Mike & The Melvins – Three Men And A Baby

2016 - Sub Pop
rock / noise

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Tracklist

01. Chicken n Dump
02. Limited Teeth
03. Bummer Conversation
04. Annalisa
05. A Dead Pile of Worthless Junk
06. Read the Label (It’s Chilli)
07. Dead Canaries
08. Pound the Giants
09. A Friend in Need is a Friend You Don’t Need
10. Lifestyle Hammer
11. Gravel
12. Art School Fight Song

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Uscire dal tunnel delle tre e più uscite all’anno è un compito veramente difficile ed è una situazione che tocca i Melvins più di quanto si vorrebbe. Non sempre l’essere così prolifici porta ad ottimi risultati. A volte va bene (“Trés Cabrones”) altre volte, invece, ci si poteva evitare lo sbattimento d’entrare in studio (“Freak Puke”). Sono troppo cattivo? Forse sì, chi di voi ama indiscussamente King Buzzo e Dale Crover avrà male parole per me, ma a chi invece è rimasto un po’ di senso critico di certo non potrà che convenire. Ciò che invece viene narrato in questo nuovo capitolo dell’attività del duo (non è MAI stato un vero trio, dai) più anomalo della (fasulla) storia del grunge è tutta un’altra faccenda. Anzitutto sembra che la vena artistica di Buzz Osborne si stia leggermente seccando e che il meglio, pur in uscita oggi, sia quanto prodotto dalla sua creatura in tempi poco recenti. E così torniamo indietro nel tempo al 1999. Da un anno i godheadSilo avevan calato il sipario sulla propria attività e così Mike Kunka e il suo rutilante basso decidono di unire le forze ai due Melvins (al tempo completati dal bassista Kevin Rutmanis) per dare vita ad una creatura a dir poco diabolica, dando i natali a Mike & the Melvins. A posto, la sezione storica finisce qui. A sedici anni da quelle registrazioni i quattro si ritrovano, danno un’ultima pennellata al tutto ed ecco che partoriscono il primo (e unico?) disco di questa anomala situazione.

“Three Men And A Baby” è, senza mezzi termini, un disco con due grandissimi coglioni (di ghisa) sotto. Fa bene al cuore sentire i Melvins tornare ad essere ciò che sono stati prima di esagerare, ossia dei disperati votati alla distorsione ultraviolenta che pregano all’altare dello sludge un pezzo sì e uno anche. Il biglietto da visita è l’opener “Chicken’n’Dump” e a fare gli onori di casa c’è la voce (di)sgraziata di Kunka su uno stomp melvinsiano epoca “Stag”, gran chitarre siderurgiche sulla spedita “Limited Teeth” con il cantato di Buzz che non potrebbe essere più chiarificatore di così e il doppio pedale di Crover a chiamare a gran voce una sorta di virulento death anni ’90 (com’è che ci sento gli Entombed in questi passaggi?). “Annalisa” ritrova lo smalto art-punk (niente di più semplice essendo una cover dei P.I.L.) dei bei tempi andati di mamma Sub Pop (che etichetta pensate faccia uscire ciò che sentite?), “Read The Label (It’s Chili)” è una mattonata noise-rock infestata dai bassi mostruosi di Kevin e Mike e da nenie vocali ipnotiche, “Gravel” è un classicone Mevins/Black Sabbath, la saltellante spooky irony di “Dead Canaries” è un vero tocco di classe e lascia il giusto spazio alla distruttiva “Pound The Giants” perfetta commistione tra Butthole Surfers e dei gran pugni in faccia. Non mancano le anomalie di sorta che si palesano in “A Friend In Need Is A Friend You Don’t Need” per voce, batteria, chitarra nonsense e pubblico, infine nel black metal ultraminimale di “Art School Fighting Song”. Black metal, avete letto benissimo.

Ve l’ho già detto a metà recensione che questo è un disco con gli attributi che fanno male. Muovetevi ad ascoltarlo, che al prossimo giro/disco potrebbe non andarvi così bene. Bentornati bastardi.

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