La band che non ti aspetti e il disco che non pensavi sarebbe mai uscito all in one. Se siete distratti non saprete che i Minor Victories sono formati da Rachel Goswell degli Slowdive, dal Mogwai Stuart Braithwaite, Justin Lockey direttamente dagli Editors e da suo fratello James. E questo agglomerato micidiale di eroi post-rock, shoegaze ed indie poteva tranquillamente cagare fuori un album di comodo, che tanto di copie ne avrebbero comunque vendute a mazzi, e invece no. Proprio no. Il disco omonimo è una manata sui denti, data con una mano opportunamente avvolta in un guanto di velluto grigio.
A spiazzare, sin da subito, è il trittico d’apertura. Se il pop può far male perché non permetterglielo e allora ecco che l’opener “Give Up The Ghosts” entra subito a gamba tesa sui timpani, introdotta da un drone melodico infingardo che lascia subito spazio ad una botta elettrica da dieci tonnellate, con le chitarre doviziosamente inacidite a spazzare via tutto. Continua il lavoro l’electro-stomp “A Hundred Ropes“, arpeggiatori a pioggia, drum-machines incalzanti e un tiro da novantadue minuti d’applausi, mentre gli archi di “Breaking My Light” ci portano dritti dritti ad un pop novantiano di quelli di altissima gamma, che ti obbligano a piangere tanto sono epici. Bella ballata power-pop è invece “Scattered Ashes (Song For Richard)” cantata in compagnia di James Alexander Graham dei The Twilight Sad, con tanto di melodia-colla che entra e non esce più. Altro ospite, a dir poco eminente, è il signor Mark Kozelek direttamente dal pianeta Sun Kil Moon, pronto a sciorinare la “solita” (ma pur sempre spettacolare) colata di parole storte che ti pare impossibile riescano a star perfette così sul tempo del pezzo, sulla delicata “For You Always“. Rachel Goswell è in spolvero totale, usa la voce come difficilmente aveva fatto prima d’ora, da sorniona a stentorea fino a picchi di lirismo voluttuoso, come nella tirata indie-“punk” “Cogs“. “Folk Arp” è il momento più Slowdive/Mogwai del lavoro, ma è solo questione d’impressioni, giocate tutte in punta di piedi tra archi e synth carezzevoli per poi detonare in un disperato crescendo, di quelli che Stuart conosce bene, segue la scia la lacrimevole e monumentale “Out To Sea” con questo immenso lavoro orchestrale che manco l’orchestra sinfonica di Vienna. Chiudono la partita il pop-notturno dal finale esplosivo di “The Thief” e la delicata “Higher Hopes“, pianocentrismo ed emozioni ottundenti a tutto spiano.
Bastava dirlo in un comunicato stampa, cari Minor Victories, che avete scritto un capolavoro pop che nel 2016, finora, non ha pari. Noi scribacchini siamo di troppo.