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Mono – Requiem For Hell

2016 - Pelagic Records / Temporary Residence Ltd.
post-rock

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Tracklist

1. Death In Rebirth
2. Stellar
3. Requiem For Hell
4. Ely's Heartbeat
5. The Last Scene

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Si parte dal passato, con Dante Alighieri e la sua Divina Commedia a Firenze e, tramite un’iperbole degna del miglior Lynch (regista) si arriva al 2016 in Giappone, coi Mono. Sembra un viaggio interminabile, quello dall’Inferno verso il Paradiso, ma i quattro di Tokyo sembrano conoscere la strada. E anche molto bene. Al loro fianco, anziché Virgilio, Steve Albini, più Caronte che il Maestro, pronto a rendere il suono di “Requiem For Hell” qualcosa di diverso, di alieno, eppure così vicino ad un passato non tanto remoto dall’essercelo scordato del tutto. Il giro di boa dettato dagli album gemelli The Last Dawn e Rays Of Darkness sembra compiuto e i due si perdono nella nebbia, lasciando l’amaro in bocca al loro ricordo.

L’inevitabile grazia e classe dei Mono si dipinge così di colori ruvidi e distanti, con gli archi che tornano prepotenti a far sentire il proprio peso specifico nel mischiarsi di atmosfere ed emozioni al cubo che viene dipinto nei cinque brani che compongono l’album. È un viaggio a ritroso, quello che inizia con “Death In Rebirth”, una scalinata infernale di sei minuti al ritmo marziale di una batteria scheletrica e affilata come un coltello di ceramica, intarsiata dalle chitarre ascendenti, ad illuminare una via irta di lacrime (quelle del Viaggiatore) e sangue (dei Dannati). Si assurge ad una luce accecante in “Stellar”, esangue suite accarezzata da flebili orchestrazioni e da un lucido pianoforte fatto di ossa di carta velina che straziano il cuore attraverso il condotto uditivo, mettendo in mostra l’impeccabile dono di questa band di commuovere l’animo umano con poco e niente. Di altra pasta è fatta l’immensa title track, tortuoso labirinto di vene che portano al proprio interno fluidi di ogni genere: dal ruvido “rumorismo” delle chitarre marchiate col fuoco shoegaze delle origini al post-rock interstellare e violento degli attimi migliori di For My Parents fino a giungere al cuore pulsante di un groove aggraziato e danzereccio, un fiume in piena di furia minimalista, come un figlio appena giunto da un’altra dimensione. E proprio di un neonato “parla” la successiva “Ely’s Heartbeat”, la cui ossatura poggia su un flebile battito cardiaco che sfocia in un caleidoscopio emotivo di proporzioni cosmiche. Si dice che l’importante di un viaggio non sia l’arrivo ma il percorso compiuto, ebbene sì, ma se si incespica sul gran finale si finisce per buttare via tutta la fatica fatta per giungervi. Non è però questo il caso poiché l’ascesa al Paradiso descritta in “The Last Scene” è una fosca ipnosi di puro piacere, stretta tra spire calde ed avvolgenti dalla carica emotiva priva di confini.

La magia si amplia quando, leggendo la rivisitazione della Divina Commedia da parte di Go Nagai (il padre di Mazinga e Devilman, per intenderci), che trova ispirazione nelle litografie di Gustave Dorè dedicate all’Opera di Dante, mentre in cuffia serpeggia “Requiem For Hell”, mi sono ritrovato catapultato in mondo non mio, la cui uscita è tanto lontana quanto vicina alla luce da non poterci credere. Un altro diamante nel collier dei Mono.

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