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Inter Arma – Paradise Gallows

2016 - Relapse Records
sludge / metal

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Tracklist

1. Nomini
2. An Archer In The Emptiness
3. Transfiguration
4. Primordial Wound
5. The Summer Drones
6. Potomac
7. The Paradise Gallows
8. Violent Constellations
9. Where The Earth Meets The Sky

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Umanità naufraga in tramonti glaciali; tra l’epopea di Achab e Moby Dick e l’Impiccato dei tarocchi. Dalla bella copertina di Orion Landau al lied spaziale di Where The Earth Meets The Sky, un oceano rossastro ribolle torrido.

Poco dopo il mastodontico e toccante esordio dei Graves At Sea, lo scontro tra mostri kaij? di Gensho (cioè collaborazione tra Boris e Merzbow), la Relapse cala già un altro peso massimo con il terzo album (secondo doppio LP consecutivo) di questa battagliera legione della Virginia. Una Balena Bianca che supera i 70 minuti di esperienza sonora corazzata, debitrice di ogni nicchia del metal intellettuale e formalmente estremo, tragica come lo sferragliare dei 300 alle Termopili opposti alla 6° Pazerdivision in lenta marcia verso steppe di Stalingrado.

Neurosis (prima e più ovvia ascendenza), poi Cathedral, Mastodon, Electric Wizard; ma anche le magniloquenze ambientali dei rinati Swans, le frustrazioni di Henry Rollins, l’altoforno di Caspar Brotzmann e gli scenari cosmopsichici dei Main. Per brani che nei loro dieci minuti abbondanti di media attraversano metal, prog, sludge e hardcore in maniera tanto facile da sembrare addirittura malcelata incertezza. Tutta un’enciclopedia di strumentalismi “larger than life” ficcati, a viva forza, nelle 4 facciate di un’opera che ha tutta la consapevolezza, l’autocompiacimento e l’artificiosità di essere enorme, abnorme addirittura.

E anche la paura di osare davvero, di rompere certi schemi di estremismo alternativo secondo cui complessità di costruzione, durata dei brani e cacofonia assortita siano, ad un primo ascolto, sinonimo obbligato di qualità; magari per paura di incappare nella melodia, in un fraseggio oltremodo orecchiabile, in una forma-canzone che spezzerebbe la rigida coerenza del voto di Castità Alternativa. Eppure bisogna ammettere che la proposta degli Inter Armasa pur muoversi scaltra tra interstizi acustici, calcolatissime ouverture strumentali, rare liquidità di theremin e magmi di doom apocalittico, senza poi rimescolare troppo la tavolozza del già eclettico (e più spaziale) Sky Burial (2013) pur con l’inserimento di interventi di trombone, harmonium e violino.

Da ascoltare, almeno per provare a dare risposta ad una domanda aperta: qual è il panorama musicale che ci sta attorno, se ormai il rock delega ad ogni forma di fondamentalismo sonoro il farsi carico della sofferenza e dell’inquietudine giovanile?

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