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Korn – The Serenity Of Suffering

2016 - Roadrunner
nu metal

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Tracklist

1. Insane
2. Rotting In Vain
3. Black Is The Soul
4. The Hating
5. A Different World (featuring Corey Taylor)
6. Take Me
7. Everything Falls Apart
8. Die Yet Another Night
9. When You're Not There
10. Next In Line
11. Please Come For Me

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Diventare la cover band (“brutta, ma brutta brutta” cit.) di se stessi non è cosa che chiunque riuscirebbe a fare. Ci vuole classe, stile, dedizione e, soprattutto, una quantità di disperazione inconcepibile al punto da non capirci proprio un cazzo. Così i Korn, dopo 23 anni di (dis)onorata carriera mantengono le promesse (infrante) fatte ai loro fan (sì, sembra ce ne siano ancora in giro, il che mi fa sorridere) ossia quello di un bel discone pesante, cattivo, imbruttito, come ai BEI VECCHI TEMPI.

Da circa 13 anni a questa parte il gruppo malamente capitanato da Jonathan Davis non ne imbrocca una neanche a pregare in cinese (un’idea per il prossimo disco, Jon). Sì, forse con l’effetto nostalgia per i chitarroni tirato in ballo su “Take A Look In The Mirror” del 2003 un sorrisetto ce l’ha strappato, giusto un “beh, dai, poteva anche andare peggio”, scaduto al secondo ascolto. Peccato che già sul successivo album il piede sulla merda i cinque di Bakersfield l’avessero abbondantemente calato. Tutta colpa dell’assenza di Brian “Head” Welch, improvvisatosi illuminato e novello San Paolo salvato dall’Altissimo dagli eccessi della droga? Sembra proprio di no, poiché il buon Saint Head è tornato all’ovile e, ciò nonostante, le feci continuano a puzzare, e nemmeno poco. Le han provate tutte: han chiamato in causa Atticus Ross, Ross Robinson, Terry Bozzio, sull’orlo del delirio anche quel demente di Skrillex, ma non c’è stato un bel niente da fare.

Allora perché non aggiungere un ulteriore tassello a questa lunghissima, nonché ridicola, agonia con il nuovo “The Serenity Of Suffering”? Tornano la tristezza, la rabbia, la ferocia, il cantato scat da tempo dimenticato…hey…un attimo…ma non erano le stesse premesse di “Korn III: Remember Who You Are”? Mi sarò sbagliato…che scherzi fa la memoria. Forse gli stessi scherzi sui quali pensano di far leva i nostri alfieri del nu-metal (si sperava fosse morto, e invece TADAAAN, rieccoci qua, nel 2016) per scucire ancora qualche soldino agli ascoltatori, tra disco e concerti. Già la scelta di Nick Raskulinecz al banco mix è un pugno sui denti poiché, non me ne voglia nessuno, ma questo tizio è in grado di abbattere un disco a distanza siderale.

Tolta la produzione i pezzi ci sono? ASSOLUTAMENTE NO. Risatone sulla scontata quasibisidediuntouchables “A Different World”, in compagnia di un altro bollito d’eccezione che di nome fa Corey Taylor (since 2005, che vi piaccia o no) che piazza qualche growl qua e là su uno special che trasuda buffoname in tandem con le nenie da piangina di Davis. L’inutilità delle chitarre strappate di “Take Me” è una stronzata che neanche i peggiori Slaves On Dope avrebbero potuto tirare fuori, col suo bel ritmo hip hop che a confronto Fred Durst è Kendrick Lamar e coretti che manco una barzelletta sui Carabinieri. Paurona sullo stomp di “Insane”, Davis ci fa capire che lui è ancora metallaro dentro e fuori capace, però, di ritornelloni stracciamutande farciti di paranoia da scuole medie. AH! Ci sono anche gli scratch wikywikywack, che fanno molto anni ’90, che roba di pregio, ragazzi. Chi è il peggiore della classe? Ray Luzier, ma già lo sapevamo, date le sue brutture batteristiche da metalhead della domenica mattina in chiesa. Avanti con “Rotting In Vain”, medesima formula degli altri pezzi anche se il meglio arriva sullo scat auto rubato da “Twist”.

Ok, potete anche smettere di ascoltare il disco, che la frittata è fatta. Ma, se vi volete male a sufficienza, c’è anche altro, ad esempio lo spettro dei Linkin Park sulla piagnucolosa “Black Is The Soul” dalla quale sbucano i suoni del primo album omonimo, come quando uno che ha lasciato la patta dei pantaloni aperta mentre è in coda alle poste, o il tentativo di far coesistere un ritornello degno della Cyrus su venature metal di quart’ordine di “The Hating”. Su “Everything Falls Apart” (uno dei pezzi più brutti che io abbia mai sentito) Davis ci assicura che “no more secrets/no more lies”, infatti i Korn fanno schifo alla luce del sole, e di motivi per cui vergognarsi ne avrebbero a dozzine come l’introduzione vanhaleiana della successiva “Die Yet Another Night” che ha il pregio di non assomigliare troppo a quanto fatto finora. BRAVIH.

Miseria, quante parole per parlare di un disco praticamente tutto uguale. Finiamola in fretta: i Korn sono gli 883 del nu-metal, “The Serenity Of Suffering” è un disco di plastica buono solo per far gola ai nostalgici che non si ricordano che è possibile riascoltare i vecchi album senza rompere tanto le palle. Tante buone cose.

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