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Trent Reznor, Atticus Ross, Gustavo Santaolalla, Mogwai – Before The Flood

2016 - Lakeshore Records
post rock / electro

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Tracklist

1. Before The Flood
2. A Minute To Breath
3. Between Two Poles
4. Dust Bowls
5. Thin Ice
6. And When The Sky Was Opened
7. Ghost Nets
8. Trembiling
9. One More Step
10. Huayanaputina
11. At Dusk
12. Thin Ice Reimagined
13. Disappearing Act
14. The Melting Pot
15. 8 Billion
16. One Perfect Moment
17. A Minute Later
18. After The Flood

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L’idea alla base della definizione di “dream team” è questa: ritrovare nello stesso posto tutti quei fuoriclasse che, in altri contesti, ci hanno fatto strappare i vestiti di dosso dal piacere. In occasione della lavorazione del film “Before The Flood”, ad opera del (finalmente possiamo dirlo) Premio Oscar Leonardo Di Caprio, guardato dall’alto della produzione esecutiva di Martin Scorsese, sono stati chiamati a raccolta i nomi più caldi del panorama musicale mondiale, esperti incontrastati (e provate e dire il contrario) della realizzazione di colonne sonore in circolazione attualmente: sto parlando di Trent Reznor e Atticus Ross, anch’essi Premi Oscar per aver dato a “The Social Network”, film mediocre, a mio modestissimo avviso, una musica eccelsa.

Perché ho parlato di dream team? Semplice: assieme al duo di cui sopra troviamo, tra i solchi di questo lavoro, anche gli alfieri del post rock Mogwai (che con l’ultimo “Atomic”, “Les Revenant” e “Zidane: A 21st Cenruty Portrait” hanno dato prova di estrema bravura per quanto riguarda il soundtracking) e il compositore sudamericano Gustavo Santaolalla, padre delle musiche del capolavoro per consolle “The Last Of Us” e svariate pellicole. Partite dal presupposto che, al momento, il film in questione io non l’ho visto (punto a mio sfavore) quindi parlerò puramente della musica contenuta nella colonna sonora. Il rischio che un gruppo simile di menti la facesse fuori dal vaso era estremamente alto ma, a scanso di equivoci, non è accaduto. Ci troviamo dinnanzi ad un lavoro completissimo e dall’enorme tasso emotivo.

Le colonne sonore hanno sempre alti e bassi, ma in questo caso si vola sempre e solo alto, ed è già il punto della vittoria in un match votato, spesse volte, alla noia. A mostrare il fianco (prendete questa affermazione con pinze d’adamantio, please), e non ci avrei scommesso niente di niente, sono le composizioni ad opera di Ross e Reznor, belle, come sempre, ma un po’ troppo autoreferenziali (non in tutti i casi, ovviamente). Ma ci arriviamo, con calma. Invece, a dare il tocco magico a questo lavorone è sicuramente Santaolalla: il suo gusto musicale trascende la bellezza, mi lascia stordito, inchiodato alle casse, con le lacrime alle soglie degli occhi, tanto da prendere il primo posto nella mia classifica personale dei compositori fino a poco tempo fa appartenuto ad Hans Zimmer.

Va da sé, dunque, che i brani in cui Gustavo, Trent ed Atticus si incrociano hanno un potere che ottunde i sensi e ti manda al creatore. Brani come “At Dusk”, con le sue eteree percussioni sintetiche da “sturbo” cosmico che spezzano le invisibili catene che tengono l’anima fissa al terreno, le allucinazioni post cosmiche di “Thin Ice” e della sua reprise “Thin Ice Reimagined” allungano il campo visivo su distese gelide, tra mostri semi-visibili e un timore di fine imminente, quasi inevitabile. Il main theme incolla in modo superbo gli atti elettrostatici dell’ultima creazione dei Nine Inch Nails ad arie solari e vibranti sintomi acustici che allungano di prepotenza sulla spettrale ed ipo-cinetica “Between Two Poles”. La presenza dei Mogwai è un crescendo nella sua totalità che cavalca il ritmo cardiaco di “Dust Bowl”, rapisce il cuore con “Ghost Nets”, in pieno stile mogwaiano, delicata e sorniona, ferita dagli elementi elettronici propri dei loro recenti lavori in studio, mentre “Huaynaputina” è un vero gancio emozionale con il suo pianoforte incastonato tra i riverberi infiniti da farti ingoiare l’anima tutta intera, mentre greve e lacerata, ferale e spossata è la chiusura di “After The Flood”. Se vi attizza l’idea di sentire i ragazzi di Glasgow suonare un pezzo dei NIN senza perdere una sola oncia del proprio essere, fatevi sotto, qui c’è solo da godere.

Come dicevo da qualche parte prima, i brani firmati da Reznor e Ross tendono all’autoreferenzialità: un po’ troppo spesso fanno capolino i pianoforti che abbiamo imparato ad amare su “The Fragile” e l’esempio più palese è “A Minute To Breath”, bella ma chiamatissima, stessa cosa accade su “And When The Sky Was Opened”. A cambiare le carte in tavola il duo ci pensa sull’assurda “Disappearing Act”, quasi a scoperchiare un Pandora’s Box firmato Devo e l’epica “8 Billion”, i cui sintetismi “di plastica” si uniscono ad arie epiche in un’orgia nostalgica ed infinita.

Se il film è bello la metà di quanto è spettacolare la sua soundtrack siamo al cospetto di lavoro di rara importanza, in questi anni di anemia sul grande schermo. Di meglio non si potrebbe chiedere.

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