Partono piano, piano. In sordina arriva un ritmo lasco, una melodia fin troppo allegra vi si sovrappone. Ci lasciano preoccupare per tre minuti e una manciata di secondi poi tutto sale, tutto spinge, un clima cupo avvolge l’orecchio, tutto sfuma lentamente: finisce il primo pezzo e già li si adora.
Cantano (o parlano) anche se non sembrano averne bisogno, la musica delinea l’atmosfera in maniera più che evocativa, ogni pezzo pulsa e vive nell’ascoltatore quasi più che su disco.
Alternano momenti di ritmo elevato che spingono la testa a seguirlo con momenti più cauti, senza limitarsi a farlo tra un pezzo e l’altro ma continuando un elastico gioco di mescolanze e cambiamenti all’interno della stessa traccia: impossibile definirle una per una, troppo cangianti per essere etichettate, troppo varie per essere ancorate.
Rimane un alone di oscurità, più o meno velato, che accompagna per tutto il percorso, un telo che ricopre disco calibrato, deciso, elettronico e magnifico: non è difficile vederli vivere di un panorama ampliamente internazionale ed è impossibile nascondere l’irrefrenabile voglia di vederli dal vivo quanto prima.