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Candiria – While They Were Sleeping

2016 - Metal Blade Records
mathcore / progressive metal / fusion

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Tracklist

1. While They Were Sleeping
2. Mereya
3. Wandering Light
4. The Cause
5. Forgotten
6. One Of You Will Betray Me
7. Opaque
8. The Whole World Will Burn
9. Behind These Walls
10. With Broken Bones
11. Ten Thousand Tears
12. Servitude


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Le elezioni negli Stati Uniti hanno tracciato una netta linea di demarcazione tra un prima andato lentamente verso la disgregazione sociale (e culturale) e un dopo conseguenza dell’atto di isolarsi nella propria ignoranza. Da 6 anni a questa parte la tendenza a volersi chiudere nel nulla più assoluto, cibandosi dei soli slogan che la rete ha prodotto, è diventato un trend fortissimo che ha ingurgitato anche il pensiero politico della gente e, di conseguenza, di un certo tipo di musica. Volenti o nolenti quest’ultima (e parlo nella fattispecie di metal estremo/alternativo/progressivo, grind, hc, black metal e via dicendo fino ad arrivare al jazz) è strettamente collegata ad un certo tipo di reazione prettamente politica, cosa di cui l’arte è, molte volte, figlia diretta. Se negli anni ’80 con il pre e il post Reagan il fermento musicale ed artistico era al culmine (partito da molto prima, tipo dagli anni ’40, facciamo) alimentato a motori spianati dal disagio, dalla segregazione sociale, dalla voglia di sperimentare, di confrontarsi e creare qualcosa di nuovo, di rottura dunque, per un domani più completo e consapevole, oggi accade l’esatto opposto, pur essendo la situazione se non identica, poco ci manca. Siamo fermi, anzi, siamo addormentati, e nessuno ci sta obbligando a farlo, o meglio, anche se così fosse noi stiamo dando una forte mano.

Quei pochi pochi rimasti svegli, però, hanno in mano le chiavi per aprire un’enorme porta verso un futuro di commistioni che possono rendere questi nuovi “anni 10” qualcosa di memorabile, reattivo e costruttivo, mentre tutti gli altri dormono. I Candiria lo sanno benissimo e, difatti, se ne escono con “While They Were Sleeping” e mai titolo e concetto furono più azzeccati. L’ottavo album in studio della band capitanata da Carley Coma e John LaMacchia non solo torna ai fasti del loro capolavoro “300 Percent Density” (uscito la bellezza di 15 anni fa) ma aggiunge ciò che di buono ha seminato negli album successivi (anche dal “debole” “Kiss The Lie” del 2009, per intenderci), quindi niente “member berries”, e chi sta guardando l’ultima serie di South Park sa di cosa sto parlando, per tutti gli altri si parla di “effetto nostalgia”, business invincibile di questi brutti anni, e dentro un sacco di ispirazione. Il concept di base dell’album è quello di un musicista che si ribella con forza alla monarchia instauratasi a New York. Dalle coordinate del quintetto è scomparsa (e lo dico con un po’ di dispiacere) la spettacolare vena hip hop trainata dalle ottime doti da MC di Coma, per lasciare spazio ad un motore a benzina math che non sentivamo da tempo e, nell’anno di ritorno di giganti come i Meshuggah, i Candiria sono gli unici a giocarsela ad armi pari, mi dispiace molto per gli altri (non è vero).

La propulsione melodica asservita alla pesantezza in tempi dispari e la violenza attitudinale dell’hc sono le colonne portanti del disco: gli epici voli soulful che accoppiano voci blues, nell’accezione non di genere, quanto più “di colore emotivo”, e chitarre gracchianti al limite del fuzz più lercio di “Servitude”, le allucinazioni post-metal di “Ten Thousand Years”, con un capolavoro vocale di Coma che si fa Busta Rhymes (ma senza rap, come vi dicevo prima) dei bei tempi un attimo prima e quello dopo fa volare tra le nuvole, l’inusitata calma pregna di splendore notturno di “Opaque”, con delicati lirismi femminili ad accompagnare un male intenso che stringe il cuore in una morsa di velluto “pop”. D’altra parte quando i newyorkesi spingono sull’acceleratore fanno crollare i denti tutti in un colpo: la title track posta in apertura del disco è una dichiarazione di guerra al dominio del sonno in tutta la sua storta propensione per le melodie oblique e il ritorno del linguaggio jazz (oserei dire dalle parti di McLaughlin meets Astatke, per sparare altissimo) in tutta la sua potenza espressiva, i deliri lunatici della pesantissima “Wandering Light” col basso di MacIvor a tagliare tendini a tutto spiano a braccetto con fiati, synth e leggerezze smooth da far svenire il più duro dei duri. Fa capolino anche una bella dose electro nella disperata e tiratissima “The Cause”, nei suoi 3 minuti scarsi di psicosi disumana, oltre ad un singolo degno di questo nome come “The Whole World Will Burn”, manifesto e pezzo migliore dell’intero disco, che mostra un’anima furiosa e una gentile, sorelle inseparabili nell’economia di questa band impareggiabile.

Dunque, mentre tutti noi dormiamo (soprattutto in Italia, eccellenti sonnambuli che corrono dietro a band che ripropongono pedissequamente un copione trito e ritrito ma, soprattutto, privo di anima, in compenso pregno, ahinoi, di mode e immobilismo) i Candiria firmano il loro ritorno sulle scene in modo eccellente, senza rimandi scontati e con il coraggio, proprio dei grandi della musica, del cambiamento che non snatura il proprio essere. Non a caso sono in tour coi Dälek. Prendete nota.

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