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Metallica – Hardwired…To Self Destruct

2016 - Blackened
thrash / metal

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Tracklist

1. Hardwired
2. Atlas, Rise!
3. Now That We’re Dead
4. Moth Into Flame
5. Dream No More
6. Halo On Fire
7. Confusion
8. ManUNkind
9. Here Comes Revenge
10. Am I Savage?
11. Murder One
12. Spit Out The Bone


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Come in una lunga storia d’amore, anche i Metallica hanno scelto di tornare alle origini per salvare una carriera. Tornare ad essere ciò che si è stati, ovvero il motore di un movimento estremo che nel corso degli anni Ottanta ha cambiato il corso della storia della musica. Questa nuova pagina della carriera dei quattro californiani giunge ad otto anni dal precedente Death Magnetic, album della svolta, caratterizzato dal ritorno alle origini. Non un capolavoro, non un lavoro pessimo, piuttosto un album onesto di chi ha scelto di rimettersi in gioco.

Il singolo Hardwired inaugura le danze con il suo incedere speed, in un’ideale continuo con la strada intrapresa nell’album precedente. Con Atlas, Rise! si raggiunge il picco compositivo dell’intero lotto, fra reminiscenze eighties e sguardo attuale, seguita da Now That We’re Dead che strizza l’occhio all’heavy metal del periodo Load. La prima parte del disco si conclude con la lunga Halo On Fire, dove l’atmosfera onirica delle strofe si incastra alla perfezione con la forza di un ritornello ispirato.
La marziale Confusion apre la seconda parte del lavoro, diretta e granitica ma che si perde in una serie di riff poco ispirati che appesantiscono la durata del pezzo. ManUNkind e Am I savage? riportano i Metallica sui banchi di scuola, con la prima che rappresenta una sorta di novità nel loro repertorio, attraverso passaggi hard rock vicini alle corde dei Kiss, mentre nella seconda la lectio magistralis dei Black Sabbath si sente soprattutto in sede chitarristica. A chiudere questo lungo e furente cammino ci pensano Murder One (“vicina” al sogno onirico del classico Welcome Home (Sanitarium)) e la trasgressione degli esordi presente nella conclusiva Spit Out the Bone.

Settanta minuti di durata sono tanti e inaccessibili per molti. Ci sono dischi che per le loro caratteristiche si lasciano assaporare, masticare e digerire in un orgasmo sonoro che – per quanto lungo – non affatica le orecchie dell’ascoltatore.
A fronte di un lavoro irreprensibile in sede di produzione, ogni traccia è dilatata per eccesso, come a dimostrare di essere ancora in grado di proporre la ricetta che li rese grandi. Il difetto di quest’album è la sua prolissità e la ricerca spasmodica del riff, uniti ad un reparto ritmico che tende spesso al cambio di tempo, minando di fatto la fluidità dei pezzi. Hardwired… To Self Destruct funziona a metà a causa di quegli ingredienti che hanno posto il brand Metallica nell’Olimpo dei grandi: durata, variazione e potenza.

La scelta di tornare a pestare duro è lodevole, come anche la ricerca di soluzioni variegate che cercano di accomunare le varie anime mostrate lungo trent’anni di carriera. I Metallica del 2016 dimostrano di essere vivi e vegeti e di saper confezionare un prodotto onorevole che ribadisce il loro esserci, allontanando il cammino verso il cimitero degli elefanti.

Difficile aspettarsi di meglio, stupido aspettarsi di peggio.

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