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Paolo Spaccamonti & Ramon Moro – I Cormorani

2016 - Dunque / Superbudda
sperimentale / post rock

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Tracklist

1. So Far
2. Il ritorno
3. Guerra di bande
4. Matteo
5. Passage
6. Malesia
7. Sotterranei
8. Sam
9. I Cormorani
10. End


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Non ho ancora visto “I Cormorani”, film del regista Fabio Bobbio. Lo sto sentendo attraverso la colonna sonora composta da Paolo Spaccamonti e Ramon Moro. Lo sento che cresce e si snoda tra paesaggi cavi sotto un sole lancinante e un silenzio di crescita. Lo vedrò, questo film, perché il legame intrinseco che sembra stringere realtà “sonorizzata” e realtà “filmata” che percepisco nelle parole del regista e sento serpeggiare tra le dieci tracce di questo lavoro, sembra quasi indissolubile. Ma voi siete qua per la musica e di essa vi parlerò, nel mio modo sghembo e contorto.

Il fascino che provo per le sonorizzazioni delle pellicole è immenso, quasi malato. Mi è capitato di farne, ed è un lavoro folle. Ad un certo punto mi sembrava di essere morto e di guardare il mio involucro dall’esterno. Ma basta parlare di me, che ve ne frega, dopotutto. Parliamo di Spaccamonti e Moro, rispettivamente chitarra, mandocaster e tromba più flicorno (Gup Alcaro e lo studio Superbudda di Torino completano un quadro altrimenti impossibile da collocare in una immaginifica stanza). So, da scribacchino, che a voi lettori piace quando certi musicisti e i loro lavori vengono paragonati ad altro, vi sentite sicuri, sapete a cosa andate incontro ma questa volta non è affatto facile, ma ci proverò ugualmente, mi perdoneranno Paolo e Ramon (da “musicista” so che a volte può dar noia): provate a prendere, che so, Bill Frisell, negli anni ’90, nel suo momento di maggiore astrazione, e piazzatelo in una stanza assieme a Cuong Vu. Fatto? Ok. Ora avete un centesimo di quanto espresso lungo questo viaggio, quindi fate finta che questi due nomi li abbia portati il vento e lanciatevi nell’ignoto di un percorso scarno ed elettrificato all’estremo fatto di dilatazioni mostruose del tempo e cavi elettrici che risuonano all’infinito lungo strade in cui soffia il fiato di un titano indebolito. Tensioni industrial e natura composta, scritta e studiata sgomitano in un Vaso di Pandora che prende l’esegesi di un road trip nel nulla e li rende parte unica di musica concreta (nel senso più stretto del termine), tra Reich e Glass in un cammino senza posa. Anche nei momenti più prettamente musicali i due strumentisti si annodano tra di loro ed amalgamano la materia in sinergia totale asservita alla melodia, una su tutte la title-track, in cui i tocchi di un post rock avulso alle regole dello stesso si mischiano in un abbraccio di outsider music sfavillante ed ascendente.

Non ci avete capito molto? Poco male, prendete questa recensione come un esercizio visivo volto a spingervi il più possibile all’ascolto e, ovviamente, alla visione effettiva de “I Cormorani” e lasciatevi rapire dalla poetica di questi due musicisti, giunti qui ad un punto di non ritorno ossia quello di aver creato qualcosa di assuefacente e vieppiù interessante. Il resto (ovvero le mie parole) conta poco.

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