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Gone Is Gone – Echolocation

2016 - Rise Records / Black Dune
rock / experimental

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Tracklist

1. Sentient
2. Gift
3. Resurge
4. Dublin
5. Ornament
6. Pawns
7. Colourfade
8. Roads
9. Slow Awakening
10. Fast Awakening
11. Resolve
12. Echolocation


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Il discorso è sempre il medesimo: un supergruppo non è automaticamente garanzia di qualità. In certi casi (fin troppi) un tot di musicisti decidono di formare una band che non aggiunge un beneamato cazzo a quanto detto da loro finora in altra sede (ultimamente mi è capitato di sentire il nuovo progetto del cantante dei Cro-Mags accompagnato da gente di Mondo Generator e Danzig e mi è salita una forte dose di tristezza. E vomito) mentre in altri vien da esclamare “siano lodati i super!”. È esattamente il caso dei Gone Is Gone formati Troy Sanders dei Mastodon, Troy Van Leeuwen dei Queens Of The Stone Age, Tony Hajjar degli At The Drive-In (che intanto paiono essere pronti a tornare di gran carriera) e Mike Zarin, quest’ultimo unico componente a non far parte di nessuna band blasonata in particolare ma asso nella manica del quartetto, grazie al suo gusto in fatto di synth ed atmosfere.

Echolocation” è il primo vero e proprio album da parte di questa creatura, preceduto da un EP carino ma che mostrava il fianco in più di un punto. Qui a far la differenza è un notevole livello di profondità, sia esecutiva che compositiva, oltre ad un coacervo di idee tutt’altro che scontate che vanno a mischiarsi con il biglietto da visita a 8 tracce uscito l’anno scorso, migliorandone i punti deboli. Idee che nelle proprie band di provenienza non avrebbero potuto trovare sfogo, per un motivo o per un altro. L’album è, per quanto mi riguarda, tutt’altro che facilmente digeribile, pur non trattandosi di musica sperimentale tout court, bensì un crocevia tra rock del nuovo millennio e strade experimental che riportano la mente agli anni caldi dell’industrial (e dintorni) delle origini.

Basti ascoltare brani come “Dublin”, arcigna ballata dalle tinte iper-gloomy, punteggiata da una sezione ritmica fatta di metallo battuto e percussioni anomale, vien da pensare a qualcosa di certi The Birthday Party, per dirne una. Stessa cosa accade nella desertica “Slow Awakening”, che più di un dazio paga a certo post punk marcio e rimestato nel metallo, con sensazioni vocali di natura mutante, tra Cave, Cash e, se vogliamo, Curtis. Momenti ascrivibili a qualcosa di più vicino alle influenze di Sanders, tra le quali troneggiano di certo i Tool, e non è la prima volta che ce ne rendiamo conto, si possono trovare nella opener “Sentient”, che con la band di Adam Jones condivide, più che l’assurdo incedere tra tempi impossibili, il senso del buio e il trascinarsi lenta tra soundscapes di natura spaziale. Le chitarre inconfondibili di Van Leeuwen si ergono maestose nella movimentata e stronza “Resurge” che apre ad un ritornello pop di rara bellezza. Nel metallo nuova maniera e in certo rock desertico pesca a piene mani la bella “Pawns” mentre in “Resolve” fa capolino un lato country in cui vien difficile rispecchiare ¾ della band, ma il lavoro di Zarin ai synth rende il tutto ben poco stucchevole (e il rischio, sentendo l’incipit, era alto) colorando d’anomalia anche quello che potrebbe essere il pezzo più easy di tutto il lavoro. E invece no.

Un bel lavoretto, non un compitino, badate bene, pieno zeppo di elementi che, ulteriormente lavorati in futuro, potrebbero portare i Gone Is Gone a donarci altre belle chicche, tra un impegno maggiore e l’altro, smarcandosi dalle proprie rispettive provenienze giusto per il gusto di dare agli ormai assopiti ascoltatori qualcosa di interessante su cui ragionare.

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