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Baustelle – L’Amore E La Violenza

2017 - Warner Music Italia
synth pop

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Tracklist

  1. Love
  2. Il vangelo di Giovanni 
  3. Amanda Lear 
  4. Betty 
  5. Eurofestival 
  6. Basso e batteria 
  7. La musica sinfonica 
  8. Lepidoptera 
  9. La vita 
  10. Continental stomp
  11. L'era dell'acquario 
  12. Ragazzina 

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Sono passati ormai diciassette anni dall’uscita de Il Sussidiario Illustrato Della Giovinezza, i Baustelle sono cresciuti e con loro anche una generazione che ha vissuto la lenta ed inesorabile evoluzione artistica della band di Montepulciano. Ne sono passati quattro, invece, dalla loro ultima fatica discografica, da quel Fantasma i cui suoni orchestrali hanno rappresentato, a tutti gli effetti, il suggellarsi di un percorso volto a una ricercatezza sempre crescente, il punto fermo di un processo che è stato e non avrebbe potuto più essere. È stata probabilmente questa la ragione che ha spinto Bianconi e compagni a tornare indietro, a guardare ai Baustelle che furono e, più in generale, ad un pop un po’ retrò per scrivere e comporre L’Amore E La Violenza.

Diciassette anni fa, quando Baustelle non era un nome importante e ingombrante sulla scena italiana, Bianconi diceva di voler rappresentare tutto quello che, a quel tempo, cercava e non trovava nella musica nostrana: è un concetto tremendamente attuale, se si pensa che, nelle interviste rilasciate prima dell’uscita de L’Amore E La Violenza, ha parlato di pop osceno e colorato che non teme di rivelare un certo grado di complessità, di musica che non si vergogna di esibire il proprio manifesto di libertà.

Complessità, appunto. Perché i Baustelle non amano fare le cose semplici e nemmeno questo disco lo è, anche soltanto per il fatto che, per la prima volta, le strade percorse sono quelle già battute in passato, senza nessuna vera grossa novità.

L’Amore E La Violenza è un disco che cresce ascolto dopo ascolto, nel quale le tematiche moderne abbracciano sonorità che strizzano l’occhio agli anni settanta e ottanta (e non solo) e il solito metodico citazionismo baustelliano tutt’altro che pedissequo, un disco in cui passato e presente si fondono e si confondono. I profughi siriani e l’idiozia di questi anni, ad esempio, sono cantati ne Il Vangelo Di Giovanni, un pezzo il cui ritornello suona molto Battiato ma che ricorda anche La Moda Del Lento nella struttura. Le dinamiche synth pop del singolo Amanda Lear precedono l’irresistibile Betty che conferma, fra l’altro, le solite grandi capacità di scrittura di Bianconi, sia nelle classiche immagini poetiche (“non esiste differenza fra la morte di una rosa e l’adolescenza”) sia nelle giustapposizioni ostinatamente stridenti, come quella fra D’Annunzio e Facebook (“piove su immondizia, tamerici, sui suoi cinquemila amici”). Più chitarra in Eurofestival – fra i pezzi più brillanti del disco – in cui, comunque, a dominare sono la vocalità suadente di Rachele Bastreghi e un ritornello ancora una volta à-la Battiato, mentre il citazionismo di cui sopra emerge persino nei pezzi dal linguaggio più frammentario come Basso E Batteria che, dopo un’intro sghemba, parla di spiagge bianche deturpate che sembrano richiamare quelle di Vasco Brondi. La costruzione elettronica artificiosa dell’ottima La Musica Sinfonica confonde nuovamente i piani (“cadevano i governi e noi ci sentivamo eterni”) e fa da sfondo a uno dei testi più ispirati del disco (“essere felici non è facile: è quasi metafisica, è musica sinfonica in discoteca”) e anticipa l’ipotetico incontro fra uno chansonnier francese e Tenco (Lepidoptera), in mezzo a parentesi funky-electro e citazioni ungarettiane (“io non sono mai stato così tanto attaccato alla vita”). La Vita ripropone quei suoni contemporaneamente solenni e decadenti che da sempre caratterizzano i Baustelle e ribadisce la grande sensibilità del Bianconi scrittore. C’è spazio per Continental Stomp, secondo strumentale (dopo l’apripista Love), prima del finale con il ritornello catchy di L’Era Dell’Acquario e la magniloquenza di Ragazzina.

Pop, appunto. Un pop che però, semplicemente, non ha alcun legame di parentela con quello classico che siamo abituati ad ascoltare o con quello d’estrazione indipendente che sta conoscendo un momento particolarmente felice in Italia. Un pop fatto di suoni elaborati e di tappeti elettronici eleganti, costruito con un Mellotron a rimpiazzare l’orchestra di Fantasma e un organo Vox, con una batteria ottenuta da campionamenti di tamburi di Sebastiano De Gennaro e samples tratti da vecchi vinili del periodo 1975-1982, con arrangiamenti raffinati e quelle solite cura e ricercatezza che resistono anche quando la scelta dichiarata è quella di semplificare.

Baustelle, pur senza strafare, danno un’autentica lezione su come fare del pop realmente complesso e di qualità, su come costringere l’ascoltatore a canticchiare quasi inconsciamente un pezzo senza rime adesive. Pur non essendo mai troppo uguali a loro stessi, riescono a essere sempre e solo i Baustelle, unici e con una inconfondibile cifra stilistica. Che piacciano o no.

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