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Silence, di Martin Scorsese

Silence

Scheda

Titolo originale: Silence
Lingua originale: inglese, giapponese
Anno: 2016
Durata: 161 min
Regia: Martin Scorsese
Soggetto: Sh?saku End? (romanzo)
Sceneggiatura: Jay Cocks, Martin Scorsese
Cast: Andrew Garfield, Adam Driver, Liam Neeson, Tadanobu Asano, Ciàran Hinds, Shinya Tsukamoto, Issei Ogata
Data di uscita (Italia): 12 gennaio 2017


I Padri Rodrigues (Andrew Garfield) e Garupe (Adam Driver) sono due giovani gesuiti incapaci di accettare l’idea più dolorosa possa provare un uomo di fede: il loro Maestro, Padre Ferreira, ha rinnegato Dio durante una missione in Giappone ed è divenuto buddista.

Nel 1633 il Giappone è nel pieno del suo medioevo, gli shogunati sono potenze militari che affamano il popolo dei villaggi con tasse e sofferenze. Migliaia di disperati trovano nelle parole dei missionari un senso al dolore e la possibilità di raggiungere il Paradiso dopo la morte. Ma la religione cristiana viene vietata dai governi locali, pena l’abnegazione, altrimenti tante belle torture e l’esecuzione.

Tratto dall’opera letteraria di Shusako Endo, tra beghe legali e percorsi di redenzione Scorsese si è liberato di un fardello pesante di venticinque anni; Silence è pura cinefilia, fatto pare con l’amore di un giovane studente di cinema nei confronti dei suoi maestri. Mizoguchi, Ozu e Kurosawa sono i riferimenti principali: le composizioni curatissime esaltano i fotogrammi: dalle tristi capanne in legno perennemente umide dei villaggi, i loro interni spogli e bui per arrivare quei rari scorci cittadini in cui la quantità dei particolari è maniacale tra costumi ed oggetti di scena, e l’impressione di essere vicini a roba come Tokyo Stories. In Silence il silenzio è anche quello della macchina registica, tramite la quale i protagonisti sono ripresi con le geometrie compositive dei suddetti maestri asiatici.

Il percorso di Padre Rodrigues è una parabola affine agli ultimi giorni di Cristo: se ne rivedono riflessioni e similitudini anche nei personaggi collaterali, dallo Giuda Kichijiro (Yosuke Kobuzaga) al diavolo tentatore, un interprete senza nome (Tadanobu Asano).

Durante la ricerca di Ferreira la fede viene messa in discussione. Una delle grandezze di Scorsese è quello di essere riuscito a raccontare la cristianità con una chiave ambigua: la fede è pazzia. Chi si ricorda del Travis (Robert De Niro) di Taxi Driver? Si considerava un angelo della morte, desideroso di ripulire dalla corruzione una moderna Sodoma.

Costante dell’opera del regista italoamericano è anche il dualismo, una reciproca complementarità, tra solitudine e presenza divina. Quello che colpisce in Silence è il filo che lega Padre Rodrigues (Andrew Garfield) ed il Travis di Taxi Driver, o di tanti altri personaggi che vagano nella filmografia del regista.

C’è però qualcosa di nuovo nel finale di Silence. Sarà che da una parte vi era la scrittura di Paul Schrader, il narratore de “la redenzione tramite l’autodistruzione” che ha accompagnato Scorsese per quasi vent’anni. In Silence vince una forza interiore e d’altronde insondabile. Non c’è il più il nichilismo di Schrader, ma l’interiorizzazione della propria fede.

Rodrigues, come il Marlowe di Cuore di Tenebra, è all’epilogo della sua via crucis quando si imbatte in un tempio buddista, nel quale finalmente rivede Ferreira che, come nel Kurtz del romanzo di Conrad gli rivela i segreti incomprensibili del mondo. Dal quel momento qualcosa cambia, inevitabile.

Due ore e passa perfette e minuti finali altalenanti. Dopo due ore di lunghi silenzi e cicalii e del rumore della pioggia sui lunghi capelli dei suoi personaggi, il film accelera per esigenze narrative, perdendo quella sua meditativa lentezza.

Ma al di là di questo rimane un film splendido. A chi lo accusa di essere pesante, non state ad ascoltare, è gente che si è imbruttita passando le serate su Netflix.

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