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Split, di M. Night Shyamalan

Split

Scheda


Diciamolo subito: Split segna un ritorno qualitativo di Shyamalan senz’altro auspicato, ma che non sembrava non troppo plausibile soprattutto dopo le debaclè del pasticcio teen fantasy L’Ultimo Dominatore dell’Aria e il product placement su commissione della famiglia Smith Afterearth. Siamo qui invece in presenza di un b-movie d’autore e tecnicamente sopraffino, essenziale e barocco al tempo stesso – anche e soprattutto nella straordinaria interpretazione di un McAvoy perennemente al limite del macchiettismo caricaturale.

Il riferimento imprescindibile, ma che sembra dai più totalmente ignorato, è il libro A Crowded Room di Daniel Keyes; racconto biografico della (vera) storia di Billy Milligan, criminale americano che sconvolse l’America sul finire degli anni ’70 perché affetto da disturbo dissociativo della personalità e il cui caso rappresentò una fondamentale tappa nelle dinamiche giudiziarie che coinvolgono l’infermità mentale. Come il protagonista del film interpretato da McAvoy, anche all’interno del corpo di Milligan convivevano 24 distinte personalità, ognuna con le sue peculiarità e le sue inclinazioni. Da questa storia Shyamalan ha attinto a piene mani, e il film tutto è pregno di ortodossie filologiche in forte continuità con l’opera di Keyes e le testimonianze dello stesso Milligan: il “prendere la luce”, le dinamiche interne tra le varie personalità, gli “indesiderabili” sono tutti elementi che porteranno a un piacevole deja-vu chi ha letto il libro o si è interessato al caso di Billy.

Come è poi ovvio e legittimo che sia, tutto un corollario di twistings romanzati è imprescindibile all’interno di un’opera che – pur nella sua autorialità – rimane comunque un blockbuster fruibile anzitutto per intrattenimento: i cambi d’abito a seconda della personalità che di volta in volta emerge, le esagerate mutazioni fisiche, l’apparente e sovrannaturale invincibilità della Bestia (che fa svoltare il film in una direzione quasi orrorifica) sono tutti espedienti che risulteranno forzati ai cultori del caso-Milligan, ma che potranno essere benevolmente soprasseduti senza voler fare troppo i puristi.

Riferimenti a parte, Split è in nuce un film di Shyamalan al 100%, girato con tecnica sopraffina a lavorare meravigliosamente con inquadrature, composizioni e stacchi per costruire la sua atmosfera malata e sottilmente claustrofobica. Ne risulta un thriller che, senza bighellonare troppo in un incipit verboso o didascalico, nei primi cinque minuti porta lo spettatore già direttamente al centro dello spannung per non mollarlo più sino al rivelatorio finale; che non è il solito epifanico stravolgimento visto in capolavori passati come Il Sesto Senso o The Village, ma costituisce una riuscita operazione di (auto)marketing metafilmico. Il Maestro, dopo anni passati a soffrire pesantemente di questo titolo, è tornato.

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