Impatto Sonoro
Menu

Interviste

Intervista a GIORGIO POI

Dopo le esperienze nei Vadoinmessico e nei Cairobi, Giorgio Poi ha avviato un percorso solista il cui principio coincide con Fa Niente (qui la nostra recensione). Il suo album di debutto ha ampiamente soddisfatto le aspettative e si candida autorevolmente alle rituali classifiche di fine anno. Noi abbiamo avuto il piacere parlare un po’ con lui della sua opera prima e della sua genesi.

Innanzitutto, vorrei partire da due elementi che mi hanno incuriosito sin dal primo momento: come mai hai scelto Poi come cognome d’arte e perché Fa Niente?
Allora, Poi l’ho scelto perché non avevo voglia di usare il mio cognome vero, che sarebbe Poti, quindi ho tolto una “T” e così ha funzionato per me.
Fa Niente è una specie di mantra che ripeto a me stesso, è un invito a non aver paura, a fare quello che volevo fare, senza preoccuparmi delle conseguenze e quindi scrivendo liberamente tutto ciò che mi sentivo.

Nonostante la tua esperienza nei Vadoinmessico e nei Cairobi, Fa Niente segna l’inizio di un nuovo progetto ed è un debutto a tutti gli effetti, ma già dalla scorsa estate si parlava di te come possibile rivelazione per il 2017. Ne eri in qualche modo consapevole? Com’è stato convivere con questo hype?
Naturalmente, mi ha fatto piacere che ci sia stata una risposta positiva e una certa attenzione rispetto a quello che stavo facendo. Comunque, lo vivo abbastanza serenamente, senza troppe pressioni e sono contento di quello che succede.

Come nasce, invece, la collaborazione con Bomba Dischi?
Io conoscevo già Davide (Caucci, ndr) da un po’ di tempo e avevamo già pensato di collaborare per Vadoinmessico prima e per Cairobi poi, ma non si era concretizzato nulla, anche perché non era l’Italia il mercato a cui puntavamo, principalmente. Ma nel momento in cui ho scritto delle canzoni in italiano, le ho mandate a lui, soltanto a lui, perché comunque rispettavo molto il suo lavoro, mi piace lui come persona, ma anche Bomba Dischi come entità. È stata una cosa abbastanza naturale: Davide ha ascoltato i pezzi e mi ha detto subito “facciamolo insieme”.

Una delle cose che più mi ha colpito del tuo disco è la sua complessità celata dietro un velo di apparente immediatezza. Ad esempio, hai confessato di aver ascoltato molto Lucio Dalla, Piero Ciampi, Paolo Conte e Vasco Rossi prima di pubblicare il disco, ma si possono trovare molte somiglianze fra te e altri cantautori italiani specialmente degli anni settanta e ottanta, però nessuna è sufficiente per descrivere il tuo stile.In che modo gli artisti succitati ti hanno influenzato? Ci sono altri autori o altri dischi che ti hanno ispirato particolarmente?
L’ispirazione che ho tratto da Lucio Dalla, Piero Ciampi, Paolo Conte e Vasco Rossi, probabilmente, è soprattutto la ragione per la quale ho scelto di scrivere in italiano: ascoltavo questi autori, mi piaceva molto cercare di comprendere a fondo i testi e quindi è stato un passaggio naturale, per me, cercare di fare la stessa cosa e di scrivere in italiano.
Anche musicalmente, comunque, alcuni artisti mi hanno sicuramente influenzato. Per quanto riguarda gli altri dischi, ho ascoltato molto anche delle cose non italiane: forse, su tutti, i Galaxie 500. Anche loro suonavano in trio, è stata una band che ho ascoltato molto quando stavo scrivendo Fa Niente. Mi piacciono molto anche i Can, i Micachu And The Shapes, queste cose qui.

Per quanto riguarda la scrittura, la sensazione è che tutte le canzoni siano legate da un sottilissimo filo rosso, che è, in qualche modo, la tua esperienza personale. Un umore vagamente malinconico, ad esempio, permea tutto il disco: Fa Niente è figlio di una sorta di saudade che hai provato nei tuoi anni lontano dall’Italia o è semplicemente il tuo modo di scrivere?
Forse è un po’ entrambe le cose! Sicuramente Fa Niente, per me, è il punto di un percorso che è iniziato quando ho cominciato a scrivere canzoni in inglese coi Vadoinmessico, poi con Cairobi. Riflette un po’ quello che è il mio gusto, in questo momento. Può dare un’impressione un po’ malinconica, non sei il primo a dirmelo. Probabilmente, quando scrivo, non penso a quale tipo di sensazione voglio restituire, ma semplicemente penso a cercare di esprimermi nella maniera che mi sembra più giusta, in quel momento.

Giorgio Poi

Ci sono alcuni temi che sembrano ricorrenti nel disco: penso al tema del viaggio, all’acqua e al colore blu, alla bocca, a un amore di cui parli in maniera non convenzionale, ma anche a una sorta di claustrofobia. Cosa puoi dirci riguardo questi temi?
Probabilmente anche queste sono scelte inconsce: è la mia mente che mi ha spinto a scrivere certe cose, ho parlato molto di me in questo disco. Sono io, sono fatto così.

Nella mia recensione del tuo disco, ho paragonato Paracadute a un quadro surrealista, per il suo testo molto particolare e, di sicuro, non immediato. Ti andrebbe di spiegarlo?
Paracadute è un pezzo che racconta di una giornata no, di una giornata un po’ difficile. È una giornata in cui, appunto, ci si sente un po’ malinconici e non ne va bene una. Magari vai al ristorante e ti trattano male, magari gli altri ci tengono a raccontarti le proprie storie e i propri sogni, ma tu non hai alcun interesse ad ascoltarli. È una giornata in cui si è concentrati su se stessi e si cerca di risolvere qualche turba.

In termini meramente musicali, invece, il tuo disco guarda molto all’estero e a una psichedelia liquida paragonabile a quella dei Tame Impala e di Mac DeMarco. Trovi che Fa Niente possa funzionare anche fuori dai confini nazionali? Quanto ha inciso la tua esperienza a Berlino e a Londra?
Sicuramente posso dire di essere cresciuto musicalmente in maniera un po’ diversa rispetto al modo in cui sarei cresciuto se fossi rimasto in Italia, essendo questo disco parte di un lungo percorso e avendo io vissuto fino a questo punto all’estero, anche se adesso sto per tornare in Italia.
Se possa essere apprezzato all’estero non lo so, ovviamente mi auguro di sì. I miei amici e colleghi non italiani che hanno ascoltato il disco sono riusciti ad apprezzarlo lo stesso, nonostante, magari, non capiscano i testi. Ma il testo, per me, è quasi un “di più”: per me gli elementi principali sono la musica, gli arrangiamenti e la melodia, infatti il testo è sempre alla fine.

Hai praticamente suonato tutti gli strumenti del disco, ma qual è il tuo approccio alla scrittura musicale? Come nasce una canzone di Giorgio Poi?
Come ti accennavo, scrivo prima tutta la musica. In questo disco, ad esempio, ho scelto di usare chitarra, basso e batteria. Quindi, partendo da uno a caso di questi elementi cerco di costruire il pezzo a poco a poco, poi trovare una linea vocale. Il testo lo scrivo dopo: finché non ho il pezzo finito, non inizio nemmeno a scriverlo, perché dovrei poi buttare tutto se non riuscissi a risolvere alcuni nodi musicali. Il testo lo lascio sempre per ultimo.

Qualche curiosità, prima di salutarci: come mai la cover de Il Mare d’Inverno di Loredana Bertè? Al tuo concerto, al Serraglio di Milano, in pochi se l’aspettavano.
La canzone mi piace molto, è un pezzo a cui mi sento vicino sia musicalmente sia a livello di testo, quindi mi è sembrato quasi naturale riproporla. È un pezzo che adesso sto suonando sempre dal vivo.

Cosa pensi della attuale scena indipendente italiana? Ci sono degli artisti che ti piacciono particolarmente?
Sì, ci sono diversi artisti che apprezzo. Mi piacciono molto i Pop X, L’Officina Della Camomilla, mi piace molto Calcutta, lo trovo molto bravo, e apprezzo molto anche I Cani. Ce ne sarebbero altri: Colombre, ad esempio, il cui disco è uscito da pochissimo.

Negli ultimi anni sembra sempre più consolidarsi il rapporto fra musica, artisti e social network, ma, nonostante ciò, li utilizzi molto meno di alcuni tuoi colleghi: come vivi il tuo rapporto con questi strumenti?
È un mezzo sicuramente efficace e comodo per interagire con le persone che ti ascoltano. Ecco, io non sono un mago dei social media, sinceramente! (ride) Non li ho mai utilizzati personalmente, nella vita privata. Adesso mi piace usarli, ma con i dovuti limiti.

Parafrasando un passaggio di Paracadute, non racconti mai dei tuoi sogni: ne hai qualcuno in particolare legato a questo progetto?
Se ho detto che non li racconto mai… (ride). No, in realtà, al momento sono molto contento della vita che sto facendo: sto girando molto per suonare e trovo che sia un momento positivo per me. Diciamo che in questo periodo sto pensando al presente, più che al futuro. 

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati