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The Afghan Whigs – In Spades

2017 - Sub Pop
alternative rock

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Tracklist

1. Birdland
2. Arabian Heights
3. Demon In Profile
4. Toy Automatic
5. Oriole
6. Copernicus
7. The Spell
8. Light As A Feather
9. I Got Lost
10. Into The Floor


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Di ritorni insipidi è piena la storia del rock nelle sue tanti diramazioni, soprattutto in questi anni scoloriti e piagati dal menefreghismo di un pubblico svogliato potenziato dai social media. Ma questa è una storia che non interessa né Greg Dulli, che io battezzerò qui come Il Signore Delle Melodie, né The Afghan Whigs, sua somma creatura e alfieri/salvatori di quella bestia morente (o già bell’e che morta) chiamata alternative-rock.

Se con “Do To The Beast” del 2014 i nostri avevano fatto capire che il loro comeback non avrebbe lasciato indifferente nessuno, nemmeno coloro che si approcciavano per la prima volta alla loro musica, con il nuovo “In Spades” è chiaro sin da subito che i timori, se mai ce ne siano stati, vengono spazzati via inesorabilmente. L’imbattibile sicurezza di questa band nell’inanellare una sequela senza fine di potenziali hit infarcite di melodie imponenti come golem di cemento armato quanto fragili e toccanti è a dir poco spaventosa.

Sul precedente lavoro l’approccio era quello di un animale svegliatosi dal torpore dell’hiatus che, muovendo i primi passi fuori dal proprio rifugio, mostra un pelo nuovo e sfolgorante, qui la bestia si lancia in una danza d’amore e morte pronta a concupire il regno animale in attesa. Come una spogliarellista che si avviluppa nelle sue stesse lacrime Oriole spiega ali di straziante pop-rock orchestrale, nell’immensità di un refrain pronto ad incunearsi, dal vivo, tra i grandi classici di “Gentlemen” e “Black Love”. Birdland si apre ad un mondo fatto di archi ed introduce all’immenso attacco alla giugulare del prepotente groove di Arabian Heights, con Dulli a far da stregone arcigno dietro al microfono, tra sensualità traslucida e nervi a fior di pelle.

Enormi chitarre compresse e distorte all’eccesso colpiscono al fianco sulla furiosa classe di Copernicus, figlia dei nineties che sono stati casa e culla della band, mentre sulla magistrale lezione soulful-pop di The Spell si dispiegano fiati ed orchestrazioni a tutto spiano. E a proposito di soulfulness e atmosfere black si impone la spettacolarità funkeggiante di Light As A Feather che mostra un sorriso sfavillante ad un mondo beffardo. Come da copione in un buon disco alt-rock che si rispetti deve far la sua comparsa una bella ballad squagliacuore ma Dulli e i suoi vogliono strafare e ce ne piazzano ben due: la prima è I Got Lost quasi a monito che perdersi a volte è la cosa giusta da fare, accompagnati da un preponderante pianoforte liquido mentre la seconda è la finale Into The Floor, monolite sporco ed amaro come solo i Whigs sanno essere, intarsiato da affilate chitarre ascendenti.

In Spades”, insomma, è un disco destinato a non passare inosservato. Più classicamente Afghan Whigs del precedente e bello da star male. Un male splendido come un tramonto nel deserto, mentre si attende la fine. Sembra quasi che Lanegan e Dulli, vecchi compagni di studio e sicuramente anche di sbronze, si siano messi d’accordo per tornare in simultanea con due album così raramente belli ed ispirati (magari proprio mentre Greg registrava le backing vocals per “Gargoyle“). Neanche a farlo apposta, vero?

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