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Dead Cross – Dead Cross

2017 - Ipecac Recordings / Three One G
hardcore punk / thrash metal

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Tracklist

1. Seizure And Desist
2. Idiopathic
3. Obedience School
4. Shillelagh
5. Bela Lugosi's Dead
6. Divine Filth
7. Grave Slave
8. The Future Has Been Cancelled
9. Gag Reflex
10. Church Of The Motherfuckers


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Test d’ingresso per questa recensione:

a) è venuto prima Keith Morris o Henry Rollins

b) qual è il disco migliore dei The Accüsed?

c) i Siege sono o no la band più schifosamente violenta della prima ondata hc? 

Se avete risposto correttamente a tutte e tre le domande potete continuare. Se non avete la benché minima idea di quel che vi ho chiesto lasciate perdere. Ormai sapete perfettamente chi sono i Dead Cross, ergo non vi è bisogno alcuno che io stia qui a ripetervi i protagonisti di questo album omonimo, tanto più che li ritroverete sparsi per la recensione.

Qualcuno, i più maligni tra di voi, ascoltando “Dead Cross”, potrebbe dire che la midlife crisis è arrivata anche per Patton, ignorando il bagaglio immenso che il signore in questione porta con sé nella sua entrata tra i ranghi della band che, inizialmente, avrebbe dovuto avere come cantante il batterista Gabe Serbian. Non me ne voglia il buon Gabe (che è e rimane uno dei più incredibili musicisti presenti tra le frange più violente della musica estrema) ma non ci mancherà poi più di tanto.

Il dischetto che stringete tra le mani è un parco giochi labirintico e bombardato da uno stormo di B-52 dipinti completamente di nero. È l’evoluzione di un verbo di virulenza e musica teen-hc (per chi era teen molto prima degli attuali teenager, compreso il non-giovane sottoscritto) e lercio di sangue ora vivo, ora rappreso ma sempre nero pece. Le migliori caratteristiche dei suoi protagonisti brillano nel buio che si annida in fondo alla gola dell’odio: i bassi ultra compressi di Pearson, le taglienti e ferine chitarre di Crain e l’estro metallurgico del semi-dio tellurico Lombardo (che qui mischia il suo vissuto Slayer-Suicidal Tendencies-Fantomasiano passando da un movimento all’altro senza problema alcuno).

Plug-in and fucking play, nulla più. Niente synth, niente esperimenti vocali, solo una secchiata di ghiaccio, chiodi e schegge dritte sul volto. Hardcore alla massima potenza, insomma. Come un Grande Mazinga armato di mazza da baseball in lega di titanio e chiodo di pelle i 10 brani si lanciano impietosamente all’assalto della calma di una giornata qualsiasi passata ad annegare in un mare di musica fallacemente definita “estrema”.

Mai come ora, negli ultimi 10 anni almeno, mi è capitato di sentire il buon Mike così vocalmente ispirato e libero da un giogo “imposto” dai feticisti pattoniani e il range vocale a cui ci sottopone è davvero da manicomio. Partendo dal fondo, e dal brano più assurdo del lotto, Church Of The Motherfuckers è un caleidoscopio malato, impostato su tempi dispari e in continuo cambio di pelle, tra stomp metalcore, inchiodate grind, sepultribeiane grida di odio e chitarre ultra spooky tra film horror e cyberpunk senza luce.

La produzione di Ross Robinson torna ad essere parte preponderante del gioco scrollandosi di dosso l’inutile plastificazione dettata dal wall of sound degli attuali standard della musica altra tutta e ci piazza davanti un sound unico nel suo genere. Seizure And Desist è un assalto al paradiso in pieno infame stile retoxiano. Il missile thrash-core di Obedience School è il pane quotidiano dell’ex-Slayer che fa il diavolo a quattro imbastendo una struttura di cemento armato fatta di accelerazioni atroci e batoste in mid-tempo, esattamente come sulle “sorellastre” Shillelagh, coi suoi cori tomahawkiani da mal di testa, e The Future Has Been Cancelled (su quest’ultima pendono gli spettri di certe cosucce già sentite su “Irony Is A Dead Scene” dei DEP). Divine Faith è un ottovolante ultra hardcore: voci strafottenti e manate a 6 corde con tanto di semi-assolo a mò di lametta sulle gengive ci portano tanto in alto quanto in basso distruggendo stomaco e tutti gli altri organi interni.

Il coro “pistolero, pistolero” presente sulla grind 2.0 Grave Slave è il tocco matto che imprime il brano a fuoco nella materia grigia per restarci a lungo mentre il malanno infestante del basso sull’intro doomish di Gag Reflex piaga le carni e strazia la mente spianando la strada per una goduriosa infornata di extreme-rock apocalittico. Ciliegina orrorifica sulla torta è la cover di Bela Lugosi’s Dead, una piccola perla mefitica che occhieggia spettrale dalle ombre di un post punk gonfio di oscurità tutt’altro che latente.

Proprio di apocalisse si potrebbe parlare al termine dell’ascolto di questo feroce debutto. Una macchina inarrestabile che fonde l’asfalto e fa deragliare il concetto di “estremo” su strade sconnesse e irte di chiodi. Senza ombra di dubbio l’ascolto perfetto per uscire definitivamente di testa.

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