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Ghostpoet – Dark Days + Canapés

2017 - PIAS
spoken word / alternative / elettronica / blues

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Tracklist

1. One More Sip
2. Many Moods At Midnight
3. Trouble + Me
4. (We’re) Dominoes
5. Freakshow
6. Dopamine If I Do
7. Live Leave
8. Karoshi
9. Blind As A Bat…
10. Immigrant Boogie
11. Woe Is Meee
12. End Times


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Scuro, malinconico, irrequieto. Lucidamente rabbioso e crudamente poetico. Un bluesman moderno che rincasando sullo sfondo di una notte londinese, non riesce a rimanere indifferente alle tribolazioni di una società sempre più cosmopolita, accusando più chiaramente del solito il peso delle proprie scelte e del proprio vissuto. E’ questa l’immagine di Ghostpoet che restituiscono questi tre quarti d’ora scarsi di suoni e parole.

Raramente monicker si è rivelato una dichiarazione d’intenti così esaustiva nella sua semplicità: spoken word con mai celate velleità cantautorali, più vicini alla slam poetry che al rap, sospesi da qualche parte tra il reading teatrale e l’elegia, i flussi di coscienza di Obaro Ejmiwe, questo il nome dell’artista all’anagrafe, sono certamente tra i più vividi esempi di “poesia fantasmatica”. Se non addirittura gli unici esistenti. La sua capacità di essere ermetico utilizzando un linguaggio asciutto ed essenziale, quotidiano, è semplicemente straordinaria. Metricamente elementare, semanticamente intricato, fremente di urgenza comunicativa e narrativa i cui destinatari non sono quasi mai ben chiari.

Tali premesse confinerebbero l’autore tra gli artisti della penna, non fossero supportate da un impianto musicale significativo. Per meglio giustificarne l’incisione in studio, questa volta si affida a un produttore di prim’ordine come Leo Abrahms, il cui già cospicuo curriculum di collaborazioni che vanno da Christina Aguilera a Brian Eno, passando per Paul Simon e la colonna sonora di “Amabili resti” di Peter Jackson, si arricchisce di un nuovo e interessante tassello.

Stemperate ma non abbandonate del tutto le influenze alt/post-rock del precedente “Shedding Skin”,  il duo vira decisamente verso tinte black. Direzione già ottimamente esemplificata dai singoli che hanno preceduto l’uscita del disco, Immigrant Boogie e Dopamine If I Do. Rock con leggere intrusioni elettroniche, la prima è un esplicito storytelling che come raramente accade ascoltando i versi del titolare, lascia ben poco spazio all’immaginazione. La seconda è invece una splendida composizione in cui suoni dilatati di pianoforte e archi si intersecano su di un groove minimale. Un cantato femminile si alterna alla suadente voce declamante aggiungendo un tocco soul al tutto.

Sebbene la mano di Daddy G sulla batteria di Woe Is Meee sia riconoscibile, la metà dei Massive Attack qui chiamata in causa abbandona le consuete suggestioni trip-hop confezionando un blues fresco e accattivante. Stesso discorso per la lenta Trouble And Me, in cui si può riscontrare anche un approccio al canto più “tradizionale”. Le sonorità care al celebre duo di Bristol fanno semmai capolino in We’re Dominoes e soprattutto Freak Show, il cui finale è solcato dall’inquietante campionamento delle risate di un coro gospel. Live Leave ci riporta dalle parti del passato più prossimo dell’artista mentre il momento di sperimentazione più spinta è costituito da Karoshi, sibillina, sincopata e distorta.

Di quanto non sia sempre semplice ricostruire il filo logico delle liriche di Ghostpoet si è già detto in apertura. Ma del resto, non è forse l’apertura a molteplici interpretazioni, una delle caratteristiche che ha fatto la fortuna della poesia attraverso i secoli? Splendido ibrido tra opera musicale e letteraria, disorganico senza sfociare nel caotico e disturbante quanto basta, “Dark Days + Canapés” fa della sua voce narrante uno dei pochi(ssimi) papabili al conseguimento della famosa corona d’alloro.

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