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O.M.D. – The Punishment Of Luxury

2017 - White Noise
elettronica / industrial

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Tracklist

1. The Punishment of Luxury
2. Isotype
3. Robot Man
4. What Have We Done
5. Precision & Decay
6. As We Open, So We Close
7. Art Eats Art
8. Kiss Kiss Kiss Bang Bang Bang
9. One More Time
10. La Mitrailleuse
11. Ghost Star
12. The View from Here


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Come abbiamo già notato in recensioni passate, siamo nella piena epoca della reviviscenza di gruppi che sembravano essersi dissolti nel nulla. Non che il ritorno degli O.M.D. sia cosa recente: in realtà questo è il secondo lavoro del nuovo ciclo, dopo “English Electric”, eppure il sapore è il medesimo degli altri gruppi che ho avuto il piacere (o meno) di recensire.

Dopo essersi dovuti arrendere all’evidenza che per il pubblico più fedele e per la critica il loro periodo buono finisce con quel delizioso harakiri che fu “Dazzle Ships”, McCluskey e Humpreys hanno iniziato ad inserire diversi rimandi a quel periodo, senza però perdere nè il loro tocco pop late eighties né la tentazione di fare EDM, quest’ultima una idea che andrebbe probabilmente rivista.

Preceduto dal singolo non-singolo La Mitrailleuse, composto per metà da quasi solo rumori di mitragliatori mixati tra loro, il nuovo lavoro sembrava davvero voler fare di nuovo una dimostrazione artistica tout court. Ovviamente c’eravamo sbagliati, su “Punishment of Luxury” c’è di tutto e di più.

La title track forse è il pezzo più sui generis dell’intero lavoro, un po’ come a voler infilare l’ascoltatore a letto senza spaventarlo troppo. È orecchiabile, non è eccessivo con la zuccherosità (anche se gli strilli HEY HEY HEY mi urtano i nervi) e McCluskey si difende bene con la voce. Isotype è tra i pezzi migliori invece, qui davvero si realizza un perfetto misto tra gli O.M.D. più sperimentali e quelli più accessibili (con un pochino di Kraftwerk che non fanno mai male), cosa che ai tempi di “Joan of Arc” ai due riusciva benissimo, adesso faticano un po’ di più. 

Insomma fin qui tutto bene e poi… poi c’è Robot Man. Ho pensato parecchie volte a come potrebbe essere descritta a qualcuno che non l’ha ascoltata. Avete mai pensato agli O.M.D. che fanno una cover di Britney Spears? In cuor mio spero di no, ma è esattamente così che sembra; non tanto per il ritornello, ma le strofe sono sincopate come fosse un brano pop di una decina d’anni fa, evocando pure Lady Gaga. È terrificante, eppure non potrei arrivare a dire che sia brutta. Ciò nonostante rimane un realizzato così per farsi due risate, come canzone fa abbastanza pena ed è fin troppo ripetitiva.

Da qui iniziano i problemi e l’altalena dell’album, non riuscendo a convincere in pieno. Se da un lato mi piace Humpreys che ci regala un raro lead vocal in What Have We Done, comunque troppo zuccherosa per il mio fegato, dall’altro ci sono megastronzate danzerecce tipo Art Eats Art, che davvero per un duo che è tra quelli che hanno influenzato la musica elettronica, è un pezzo che non sarebbe mai dovuto esistere.

Alla fine, “The Punishment of Luxury“ non aggiunge nulla alla carriera degli O.M.D. né, per fortuna, riesce a togliere. È una raccolta di pezzi senza nessuna caratteristica in comune, alcuni orecchiabili, altri infami, altri sperimentali. Mi sa che per il disco industrial dobbiamo ancora aspettare un bel po’.

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