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Weezer – Pacific Daydream

2017 - Atlantic Records
pop / punk / indie

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Tracklist

1. Mexican Fender
2. Beach Boys
3. Feels Like Summer
4. Happy Hour
5. Weekend Woman
6. QB Blitz
7. Sweet Mary
8. Get Right
9. La Mancha Screwjob
10. Any Friend of Diane's


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Il nuovo disco dei Weezer, l’undicesimo in studio della loro carriera, si intitola “Pacific Daydream”. In questo disco i Weezer, che sono il gruppo californiano pioniere della new-wave surf contaminata da punk rock ed emocore di puro marchio washingtoniano, hanno la voce troppo pop ed affettata, al limite della sopportazione se si considerano alcuni episodi, e non sto scherzando.

Ho avuto anche io, come tutti, quasi quindici anni fa, il periodo in cui esistevano solamente i Jimmy Eat World, e vi posso garantire che in quel periodo quando volevo ascoltare qualcosa di più allegro ma anche di più veloce e cadenzato rispetto ai J.E.W., mi buttavo sul “Green Album” come un ossesso, perchè anche se non era punk, il suono era diretto e passava veloce. E anche perchè era un disco Geffen, lo ammetto.

Pacific Daydream” invece rappresenta l’ovvio punto di non ritorno dopo la sterzata pop music dettata da “Hurley”, il loro ottavo album dedicato al personaggio più simpatico della serie TV “Lost” uscito su Epitaph (support your local label) e definito “all’avanguardia” per quanto riguardava quel genere di rock suonato da gruppi che vent’anni prima punzecchiavano il surf per istigarlo al suono più ruvido. Non mi immaginavo un ritorno ai fasti di “Across the sea”, “Buddy Holly” o “Island in the sun”, sarei un ingenuo, ma “Pacific Daydream” è così talmente affettato ed elaborato, nel suo essere modernamente pop, che anche la canzone che viene dopo i tre primi brani del disco, e cioè quelli che più di tutti dovrebbero spingere un album verso la sua metà, rimane in testa fastidiosamente dopo averla ascoltata. Happy hour è così piatta e sconfusionata che te la canticchi anche molto tempo dopo la sua fine.

Cori roboanti e ritornelli in diminuendo ne fanno il manifesto del disco, che però non parte così male: Mexican Fender ha un buon tiro grazie soprattutto al fatto che per prima cosa ti faccia ascoltare le chitarre e ti faccia respirare un’immane leggerezza, con la batteria che entra dopo aver lasciato passare un po’ di tempo e i raddoppi che sono messi lì al punto giusto. Beach Boys e Feels Like Summer sono rigidamente radiofoniche e molto orecchiabili, mentre l’intro calypso di Weekend Woman viene tenuta bene per tutto il proseguire del brano, che diventa così il più divertente e rivelatore dell’intero “Pacific Daydream”, dotato di un ritornello finalmente accattivante ed una struttura punkrock, che lo sai come andrà a finire e che comunque va bene così.

Nelle dieci canzoni che lo compongono, però, non riesco a trovare nulla che mi possa spingere a considerarlo un disco da ascoltare, nemmeno negli accorgimenti indie elettronici di La Mancha Screwjob. Perchè alla fine il problema fondamentale dell’ultimo album dei Weezer è la totale mancanza di inibizioni nel cadere nelle cantilene.

Ed è proprio qui la discriminante: il pop-punk si fonda sui ritornelli, l’indecisione musicale sulle cantilene. E i Weezer lo sanno, eccome.

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