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L’evanescente spirale infinita degli A PERFECT CIRCLE

Il silenzio del primo giorno dell’anno è davvero innaturale. Mentre mi accingo ad aprire il pc per iniziare a scrivere questo articolo mi rendo conto che tutto tace, eccezion fatta per il rumore di qualche televisione lontana percepito a malapena mentre aprivo le imposte di casa. Forse è proprio l’assenza di qualsivoglia rumore la co-protagonista di questa storia, anche se in questo caso parliamo di silenzio puramente discografico.

Infatti mentre redigo queste poche prime righe i protagonisti principali della narrazione ossia gli A Perfect Circle hanno pubblicato il loro secondo brano inedito dopo la splendida The Doomed ed intitolato Disillusioned. Ciò che ancora manca è l’annuncio di un nuovo album vero e proprio sia arrivato in pompa magna. Maynard James Keenan e Billy Howerdel non sono noti per la propria loquacità, quindi perché smentirsi proprio ora?

UN MARE CIRCOLARE

Gli anni ’90 hanno rappresentato l’età dell’oro della musica alternativa in tutte le sue più ampie sfaccettature. Il decennio in questione ha portato a compimento tutto il lavoro svolto da coloro che hanno dato i natali a quella scena “indie” che gravitava attorno ad etichette storiche e sostanzialmente integerrime non prendendosi la briga di rimanere nell’oscurità e correndo il rischio di fare passi falsi ad ogni minimo cambiamento dell’industria discografica. La musica nineties di per sé è andata costruendosi mattone su mattone fagocitando e digerendo a velocità spaventosa tutte quelle influenze che fino a poco prima venivano ritenute come disdicevoli – un esempio su tutti certo funk e certo rock targato anni ’70 – e prendendo strade via via sempre più particolari ed uniche.

I Tool hanno rappresentato questo cambiamento più di chiunque altro all’interno della cerchia, così come i Deftones e la figura fanto-carismatica del frontman di Faith No More e Mr. Bungle Mike Patton. La band losangelina non ha mai badato in alcun modo alle flessioni del mercato discografico e ha spazzato via le certezze di raggiungimento della completezza “alternativa” di qualsiasi altra realtà in circolazione al tempo. Nel complesso tra i quattro spicca da sempre la silouette anomala di Keenan. Proprio Maynard sarà colui che più avrà modo di muoversi al di là della sua creatura principale, ansioso di dare spazio a tutt’altre esigenze stilistiche ed urgenze creative.

Billy Howerdel incrocia la strada del gruppo a metà degli anni ’90 come “semplice” guitar technician, passato dai Guns’n’Roses e accreditato sul loro “Live Era” ai più artisticamente succulenti Nine Inch Nails. Alla fine del tour promozionale del capolavoro “The Downward Spiral” del 1995 Trent Reznor fu grato a tal punto ad Howerdel che in segno di stima gli regalò una serie di chitarre tra cui una splendida 60’s Gibson Les Paul costruita nel 1991 sulla quale probabilmente molte delle canzoni della sua futura band saranno scritte in seguito.

Leggenda vuole che il chitarrista volesse una voce femminile a fronteggiare il pubblico per la sua nuova band ma che il leader dei Tool abbia davvero insistito per farne parte: “Ci siamo incontrati nuovamente mentre coi Tool stavamo lavorando su ‘Aenima’”, – confessa Maynard in un’intervista – “e Billy aveva un sacco di musica registrata sul suo computer. Gli ho chiesto di farmela sentire e mi è davvero piaciuta, così l’ho pregato di coinvolgermi nel progetto che aveva in mente.

Espletate le esigenze tooliane e incassato il successo planetario con il secondo album della band i due si riuniscono e cercano di completare “il circolo”. Inizialmente viene selezionato Tim “Herb” Alexander a percuotere le pelli. D’altronde chi meglio di lui avrebbe potuto incanalare l’idea di energia delle composizioni in questione con il suo misto di tecnica ipercinetica e intensità?

Purtroppo l’allora ex batterista dei Primus non terrà a lungo il suo posto sul seggiolino e cederà spazio al batterista dei The Vandals -nonché richiestissimo session drummer- Josh Freese, conosciuto da Billy durante le session del criticatissimo “Chinese Democracy” della band di Axl Rose. A completare il quadro la bassista/violinista Paz Lenchantin e il chitarrista Troy Van Leeuwen, futuro compare di Josh Homme nei Queens Of The Stone Age.

Perché proprio questo particolare nome? A spiegarlo è Keenan: “Siamo cinque individui che si uniscono per creare qualcosa, per comporre musica e completarsi l’un l’altro fino a formare un circolo perfetto. Un circolo è il riflesso dell’eternità: non ha inizio né ha una fine. Se unisci tra di loro una serie di cerchi ottieni una spirale.

Con questa formazione e queste premesse si staglia all’orizzonte la creazione di “Mer De Noms”, album di debutto del gruppo. I brani sono in larga parte quelli che Maynard sentì quella volta fatidica in cui pregò Billy di includerlo nella band ma per stessa ammissione del chitarrista il tocco finale alle composizioni è arrivato nell’arco del 1999, rendendo il tutto funzionale. “Questo disco è molto ‘personale’, per me,” – ammette il frontman dei Tool nel 2000 – “è come se io reagissi alla musica di Billy esplorando tutta una serie di sentimenti legati alle relazioni, relazioni che finiscono male, un ciclo di perdono e cura, bene o male. È un processo più emotivo, più ‘femminile’, meno cerebrale.

È chiaro sin da subito che per il cinismo hicksiano dei Tool al momento qui ci sia ben poco spazio e che liriche e musica vadano dritte al cuore senza bisogno di tanti voli pindarici. La spirale se(n)suale dell’opener The Hollow attira l’attenzione sulla rinnovata volontà di Maynard di sondare tematiche precedentemente viste attraverso una lente aliena e tutto tranne che umano e il ritornello ne è la chiave di lettura più importante (“Screaming feed me, here / fill me up, again / and temporarily pacify this hungering”). Il brano è anche l’unico a mostrarci come sarebbe potuta essere la sezione ritmica con Alexander dietro le pelli.

Molti dei titoli presenti nell’album sono nomi di persone sia reali sia facenti parte della mitologia.” – svela il cantante – “Diversi personaggi di cui parlo nei testi sono persone che  conosco personalmente e alcune delle cose che accadono hanno un loro corrispettivo mitologico. Molti nomi americani ed europei hanno origini latine o greche e vanno a scavare fin nei loro archetipi. Non è una cosa fantastica? Se prendi diverse miti appartenuti a culture distanti tra di loro ti renderai conto che i nomi dei protagonisti possono cambiare, e così alcuni degli accadimenti, ma ci sarà sempre qualcosa che li accomuna. Molte storie provenienti dalla religione e dalla mitologia hanno una sorta di radice comune, un archetipo. Ci sono migliaia di miti che raccontano parti virginali o omicidi efferati. È davvero difficile capire cos’è accaduto prima: era qualcosa che succedeva comunemente alle persone e dunque è stato trasposto in mito, o sono i miti ad aver ispirato le persone a copiarli, in qualche modo?” 

Il desiderio di amore a costo di pagare per averlo della toccante ed epica Magdalena sembra pescare proprio dal sostrato religioso cristiano, con un protagonista affamato dell’attenzione di una donna vista come una sorta di dea terrestre, una contrapposizione alla bianca figura della donna pura che partorisce senza bisogno dell’atto sessuale (“One taste of you, my black madonna”) o l’invisibilità e la richiesta dell’esistenza attraverso la vulnerabilità del proprio essere sciorinata in 3 Libras, brano che sembra essere nato grazie all’aiuto di Chino Moreno. In una vecchissima intervista ricordo un Maynard disposto ad ammettere che in caso di blocco creativo è proprio al frontman dei Deftones che fa affidamento, in questo caso il tutto è avvenuto telefonicamente.

Non tutti i brani guardano alla bramosia dell’animo umano nascosta dietro all’ombra delle proprie vacuità. Judith infatti è un brano tirato e feroce dedicato all’incidente occorso alla madre di Maynard, il quale si scaglia in egual modo contro la cieca fede della genitrice divenuta più forte anche dopo essersi ritrovata in una situazione irreversibile di invalidità – cosa “alquanto ironica” per ammissione dello stesso cantante – e contro il Dio al quale in tanti fanno riferimento, puntualmente disattesi. Il video del brano è affidato alla regia di David Fincher, creatore di pellicole di altissimo livello e ormai diventate culto come “Seven” e “The Fight Club”. Howerdel ha ammesso di essere un grande fan di quest’ultimo film e ritiene che Fincher sia un incredibile artista visuale.

I riferimenti biblici si sprecano e così il dubbio si espande a macchia d’olio e il miglior modo per esporli è prendendo spunto da un’altra figura biblica come quella di San Tommaso nella ibrida Thomas in cui il protagonista sfida la figura del dio sceso in Terra ad illuminarlo poiché lui non è chiaramente nella posizione di poter credere ad alcun miracolo se non toccando con mano. Nella tooliana Breña Maynard si rivolge invece ad una figura assolutamente umana, ossia la sua storica compagna Jennifer Breña Ferguson.

Il disco è pervaso da sentimenti contrastanti sostenuti dal comune denominatore della debolezza e della continua ricerca di sé sia all’interno che all’esterno, facendosi forti della propria fallibilità umana. E pur essendo un lavoro tutt’altro che semplice, soprattutto per un pubblico come quello dei Tool abituato alle folies matematiche e alla tendenza ad ironizzare anche sul più bieco comportamento da parte dei quattro componenti del gruppo, il successo è assicurato al di là di ogni più rosea aspettativa. Ma proprio i Tool si frappongono al cammino degli APC a causa dell’uscita di “Lateralus”.

TREDICI PASSI NELLA NEBBIA

Le proverbiali difficoltà che portano ogni collaboratore di Keenan a scontrarsi inevitabilmente con la realtà di avere tra le fila una star, pur oscura ed “alternativa”, ma pur sempre una star. Ovviamente non si parla di comportamenti da “rockstar del cazzo” bensì alla difficoltà di far collimare gli impegni con la band principale del cantante e del resto della band, soprattutto poiché tutto ruota principalmente attorno alle figure di MJK, Billy e Josh Freese: “Con Maynard c’era davvero poco tempo in cui poter lavorare,” – ammette Van Leeuwen – “non mi sono mai davvero legato a lui. Lui arrivava, faceva quel che doveva fare e poi tornava a fare le sue cose coi Tool.

Ad aspettare ci si può ritrovare a non credere più davvero in un determinato progetto e in una realtà frenetica come quella della musica alternativa statunitense di inizi anni 2000 se dimostravi certe qualità era possibile venire risucchiati altrove. Sin dalla fine del tour promozionale di “Mer De Noms” Howerdel si è subito rimesso al lavoro sul nuovo materiale per la band. L’assenza del cantante ha portato a lavorarci solo il resto della band ma le cose sembrano non andare come previsto: il materiale non convince tutti e le chiamate fioccano. Così Lenchantin si farà inglobare dai fallimentari Zwan di Billy Corgan mentre Van Leeuwan troverà la sua nuova casa nelle fila della band di Homme.

Lo stesso Billy ammetterà in svariate interviste che le difficoltà più grandi negli APC collimavano con le attese interminabili e gli impegni di ciascun componente, ma che questo era anche uno dei punti di forza, una volta compresa la natura intrinseca del gruppo. Il problema di rimpiazzare due figure portanti come quelle appena perdute viene ovviato inserendo nomi ben più spinti. Al basso subentra Jeordie Osbourne White, meglio conosciuto come Twiggy Ramirez ed ex partner in crime di Marilyn Manson mentre alla seconda chitarra James Iha, altro ex di lusso questa volta degli Smashing Pumpkins.

La band diventa a tutti gli effetti una sorta di supergruppo senza mezzi termini anche se gli stessi nuovi arrivati denigrano questa sorta di denominazione: “Sono cose capitano senza premeditazione.” – ammette Twiggy – “Ho incontrato Josh [Freese, ndr] ad un party e mi ha detto che cercavano un bassista, al tempo stavo facendo alcune cose ma ho accettato. Stavamo cercando anche un nuovo chitarrista e James è stata la prima persona a cui abbiamo pensato. Billy gli ha mandato una email, lui ha detto di sì, e le cose si sono evolute di conseguenza.

Di ritorno dal tour, nel 2003, Maynard prende posizione e contribuisce alla creazione di “Thirteenth Step” e pare che fosse molto ispirato al suo rientro alla base. Come abbiano invece contribuito i due nuovi arrivati è molto semplice da spiegare: Jeordie è “un bravo bassista” (parole di Billy) e Iha non ha contribuito alla stesura dei brani. “Non sono presente nel disco ma sono accreditato sul libretto dell’album.”- chiosa James – “È stata una mossa astuta. Alla fine la band è sempre stata composta principalmente da Billy e Maynard. Sono fortunato che mi abbiano chiamato. Sono dei tizi davvero impegnati, comunque.

Durante i primi mesi dall’uscita del disco sembrano fioccare le critiche. Le differenze di rilievo nei confronti della massa di musica contenuta e compressa in “Mer De Noms” rendono il tutto di difficile digestione. Le nuove composizioni sono al contempo viscose e brillanti, la pesantezza “hard rock” lascia spazio ad un’ariosità prima solo accennata. Sono in molti a dire che il secondo disco della band sia una sorta di rip-off della band madre di Keenan.

A queste critiche, in larga parte campate davvero per aria e arrivate anche da svariati esperti del settore, risponde Freese: “I Tool hanno canzoni davvero pesanti e lunghe, penso che gli APC siano più pop, molto meno d’impatto. Questo disco poggia sulle canzoni, nel senso più pop del termine. Credo che i Tool siano la parte ‘maschile’ di Maynard mentre noi siamo quella ‘femminile’. Il disco è un passo in avanti rispetto al precedente, è diverso, senza perdere il tocco personale degli APC. A volte alla gente non piacciono i gruppi che cambiano radicalmente il proprio sound, si sentono alienate da queste scelte.

Niente di più vero. Al grasso attacco di The Hollow qui il gruppo risponde la flebile melodia di The Package ed è uno di quei brani che uno si aspetterebbe di trovare nella seconda metà di un album. Questo di certo ha portato molti ascoltatori a sentirsi totalmente fottuti ed è evidentemente l’effetto che i nostri volevano ottenere, creando uno scollamento con il lavoro precedente. Il brano ha comunque modo di aprirsi e diventare una vera e propria fucilata dalla parte centrale in poi e Maynard indossa una maschera furiosa, da qui gli accostamenti con l’altra sua creatura.

L’eclettismo di White affiora in tutto il suo splendore nell’incipit del singolo Weak And Powerless, cavallo di battaglia del pensiero “pop” enunciato dal batterista. Il pezzo prima di arrivare a compimento è stato scritto e registrato almeno cinque volte, a sentire Freese, ed è un accorato sguardo alla dipendenza dalla droga. Il trait d’union con il disco di debutto non è quindi musicale ma puramente “lirico” e continua nella direzione imbastita sin dagli albori del gruppo. Non c’è traccia di disprezzo nel testo, solo arrendevolezza e consapevolezza. Quanto di più lontano dal cinismo tooliano, dunque le critiche di cui sopra crollano inevitabilmente a terra.

Ci si allontana dai cieli plumbei e mascolini dei Tool in maniera ancor più chiara su The Noose, piccolo capolavoro atmosferico e scarno che si forma spontaneamente sugli arpeggi delicati di Howerdel e su una robusta rete ritmica. Il lato “feminine” della band si apre ulteriormente grazie all’evanescente presenza di madame Jarboe, ex voce dei leggendari Swans, che torna a mostrarsi in primo piano sull’anomala e fugace Lullaby, rendendo il tutto più che lugurbre.

Blue è un attacco di scheletri mostruosi e cartilagini antropomorfe che si perdono nello spazio ed è sempre il basso del fu Ramirez a dare la spinta evolutiva, co-protagonista di spicco al fianco della tipica dialettica melodica howerdeliana. Stessa cosa si può dire per la conclusiva Gravity, lascito della precedente incarnazione del gruppo essendo firmata anche dagli ex componenti, ma estremamente distante da quanto uscito a loro stesso nome.

Momento interessante è la cover di The Nurse Who Loved Me dei Failure: anziché abbandonare le sensazioni space della versione originale i nostri le esasperano tramutandole in una ballata outsider obnubilata dalle droghe psicotrope ma cambiandone totalmente l’aspetto di base. Il pezzo è stato una scelta specifica di Maynard e Freese, essendo amici del gruppo californiano e loro grandi fan. Dal vivo il gruppo offrirà un’ulteriore versione – decisamente meno “aulica” – del pezzo in questione, come sempre spiazzando l’audience.

Incassati in egual misura elogi e disincanto e terminato il tour di supporto al disco per la band si profila un hiatus che li vedrà lentamente scomparire in quanto entità reale per molto tempo. E indovinate un po’ a chi si può attribuire tale “colpa”?

EMOZIONI IN TRINCEA

Gli impegni tooliani di Keenan sono la solita barriera invalicabile per gli A Perfect Circle, questa volta pare in via definitiva. O meglio, fino a data da decidersi. Prima di tirare i remi in barca però il gruppo – ormai composto più solo da Howerdel, MJK e Freese – vuole regalare ai propri fan qualcosa di speciale. “eMOTIVe” non è infatti da considerarsi un canto del cigno vero e proprio ma una via di mezzo forzata tra divertissement e necessità di parlare non più per metafore al cuore del pubblico. Il disco non è null’altro che una raccolta di cover di brani tra i più disparati con un unico letimotiv a legarli l’uno all’altro: l’impegno politico e la necessità di una pace duratura.

Solo due dei dodici pezzi che compongono la raccolta sono infatti sono a firma del nucleo centrale della band. Tra questi figura l’aggressiva Passive, che è stato motivo di diatriba tra gli APC e l’amico Trent Reznor. Il brano in origine è stato composto per il progetto abortito chiamato Tapeworm che includeva, oltre al creatore dello stesso mr. Self Destruct, anche una notevole serie di collaboratori di spessore tra cui proprio il leader dei Tool.

Il supergruppo – è il caso di chiamarlo così – non ha mai visto la luce e così i brani composti per il suddetto sono finiti sparsi per l’universo. Uno di questi è stato recuperato da Howerdel e soci – dapprima col titolo Vacant – e infine registrato e incluso nel disco. La cosa ha chiaramente attirato le ire del mastermind dei NIN il quale si disse “piuttosto irritato dal fatto che il pezzo sia stato proposto in questa veste prima di essere completato in modo appropriato.” La cosa non deve aver turbato più di tanto i nostri che hanno incluso la canzone anche nella colonna sonora dell’infame trasposizione cinematografica del fumetto Hellblazer “Costantine” con tanto di video.

Torniamo dunque al corpo principale del lavoro. Howerdel ammette di non aver mai avuto la pulsione a parlare di politica in pubblico, ma pensa che sia venuto il momento di farlo passando per la strada a sé più consona. Perché un disco di cover, dunque? “Volevamo fare qualcosa che avesse un senso per noi stessi in primis, che fosse degno di essere considerato il nostro terzo disco. Ed ecco che a Maynard è venuta l’idea di fare un disco politicizzato e, al di là delle aspettative, ero d’accordo con lui. In realtà non è che fosse proprio la prima cosa che mi fosse venuta in mente ma il clima di tensione che sta affrontando il mondo e il nostro disgusto per questa situazione ci ha dato l’opportunità di muoverci in questo senso. Molte delle canzoni contenute nel disco sono state scritte quando noi non eravamo ancora nemmeno nati, altre erano una sorta di colonna sonora nei viaggi in macchina coi nostri genitori quando eravamo piccoli. Spero che diventi una sorta di colonna sonora per i nostri tempi che, sfortunatamente, non sono rosei.

Keenan gli fa eco: “Il nostro disgusto per questa amministrazione [quella di George W. Bush Jr., ndr] non sarà una sorpresa per chiunque ascolti i miei lavori da quattordici anni a questa parte. I Tool sono stati molto critici nei confronti delle politiche di George Bush Sr. Chiunque sia rimasto seccato ascoltando i cd di Bill Hicks sa di quel che parlo. […] Ovviamente non ho mai detto a nessuno chi votare tramite questo album. Sto semplicemente incoraggiando gli ascoltatori a farsi un’idea propria. Ovviamente questo messaggio è stato traviato e questo mi ha fatto incazzare non poco. […] Comunque le versioni originali di questi brani sono splendide, vi consiglio semplicemente di ascoltarle.

Alle registrazioni dell’album partecipano, oltre ai tre succitati membri, anche Paz Lenchantin, Charlie Clouser e Danny Lohner. Solo in un’occasione fanno capolino Iha e White. L’anomala rilettura di brani come Annihilation dei Crucifix, band crust californiana degli anni ’80, fanno subito rizzare svariati peli del corpo. Da manifesto d-beat a musica da carrion in meno di 2 minuti di canzone. Anche i Black Flag vengono qui riproposti in una veste marziana ed inedita come dimostra la mostuosa Gimme Gimme Gimme con un Maynard in evidente trasfigurazione tutt’altro che “feminine”. Altro cavallo di battaglia dell’hardcore calforniano affiora in Let’s Have A War dei Fear qui mutuata in “canzonatura” drum’n’bass.

Molto più “semplice” il lavoro di travestimento del classico di John Lennon Imagine qui trasposta in marcia funebre post-atomica e al tempo subito finita ovunque in heavy-rotation tanta la fruibilità in ivi celata. Le plastiche velleità danzerecce dei Depeche Mode di People Are People – sugli scudi l’ex Pumpkins e l’ex Manson e magistralmente cantata da Billy- sono qui annegate in un vestito che andrebbe a pennello ai fratelli Casale piuttosto che agli APC. E a proposito dei Devo il gruppo trova una nuova veste anche per Freedom Of Choice: la voce di Howerdel fa il suo lavoro e l’art punk del gruppo di Mongoloid si trasforma come per magia in una tirata power pop ballad d’antan. La delicata bellezza di What’s Going On  di Marvin Gaye ci lascia uno dei migliori momenti dell’intero platter.

Per quanto riguarda i brani originali del gruppo la succitata Passive risulta scontata e sottotono, sorte che invece non tocca la furiosa marcia bellica industriale di Counting Bodies Like Sheep To The Rhythm Of The War Drums, mostro allucinante che pare uscito da qualche disco storico dei Ministry.

Pur essendo niente più e niente meno che un disco di cover come tanti ne sono usciti “eMOTIVe” riesce nell’intento di non essere un album totalmente fine a se stesso. Durante il 2004 arriverà anche un dvd intitolato “aMOTION” ricco di video e chicche for fans only che segnerà la momentanea fine del combo.

SPIRALI

Nella pausa forzata Howerdel si prenderà il suo tempo per mettere in piedi il progetto Ashes Divide assieme al fido Freese col risultato di sembrare una copia stinta del cerchio perfetto mentre Maynard si lascerà fagocitare a tempo pieno dalla produzione di vino, dai suoi Puscifer e dal trolling perenne ai danni dei fan circa un nuovo album della sua band madre.

Il 2010 però è l’anno del ritorno degli APC che si ritrovano a condividere il palco e a far parlare di fantomatiche nuove composizioni. Puntualmente le speranze i fan vengono disattese eccezion fatta per il brano By And Down contenuto nel greatest hits “Three Sixty” e che ci mostra l’attuale ottima forma del combo e della sua nuova formazione che vede avvicendarsi il bassista Matt McJunkins e il batterista Jeff Friedl. Il ritorno in pista viene consolidato, come già saprete, dai due nuovi singoli che ho nominato in apertura di articolo e dall’evidente assenza discografica dei Tool. Con Maynard di mezzo però non si sa mai a cosa si potrebbe andare incontro.

Tirare le somme in casi come questo è molto più semplice del solito per noi poveri scribacchini. Gli A Perfect Circle sono presto divenuti l’anello di congiunzione tra l’anomala vita del post metal marziano creato dallo stesso Keenan e splendore compositivo e, esattamente come per ogni progetto del nostro Hicks canoro, un unicum che non lascia spazio di manovra per alcun tipo di carbon-copy. Ogni tentativo di iscriverli al successo di riflesso ai Tool è stato ampiamente smascherato. Inutile arrampicarsi sugli specchi. “Fuck the doomed: you’re on your own”.

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