Antonella Lattanzi, barese di nascita e romana di adozione,
dopo essersi diplomata in “Narrativa e sceneggiatura per il cinema e il fumetto” e pubblicato una raccolta di racconti, Col culo scomodo – non tutti i piercing riescono col buco (Coniglio Editore), ritorna in libreria con un saggio gustosissimo sulla sua regione, la Puglia. Il volume, che racconta curiosità e leggende, ruota intorno alla cultura del mezzogiorno trattando temi spesso trascurati che, a metà fra fantasia e realtà, aiutano alla comprensione di atteggiamenti e modi di un popolo, quello pugliese, che altrimenti troverebbero difficile spiegazione. La bravura più grande della Lattanzi sta nel raccontare in modo entusiasmante e entusiasmato la realtà, da quella contadina a quella cittadina, senza mai scadere nel banale riuscendo a fare un lavoro completo e soprattutto ben documentato mantenendo la freschezza necessaria a convincere il lettore.
Il tuo lavoro, a metà fra il romanzo e il saggio, è una raccolta di quelle leggende, di quei pensieri popolari e ben diffusi nel territorio pugliese. Da dove è nata la necessità di farne una raccolta?
Credo sia nata dalla necessità di ritrovare un contatto non solo con le mie radici pugliesi, ma più che altro con una sorta di patrimonio umano, comune a tutto il mondo, che rischiamo spesso di perdere in questa era della velocità. è cosa nota, infatti, che, per esempio, le cosmogonie, cioè i miti di fondazione del mondo intesi dal punto di vista divino o mitico, presentano impressionanti caratteristiche comuni, l’una con l’altra. Studiare Puglia, allora, è stato ritrovare non solo la cultura dentro la quale sono nata, che amo, e di cui ritrovo alcuni gesti nella me di tutti i giorni, ma anche aprire uno spiraglio sulla storia del mondo. Il fatto che il mio libro sta a metà tra il romanzo e il saggio serve proprio a incarnare questa continua dualità, tra le leggende cantate dal popolo e i fatti storici che le hanno generate, tra le formule magiche pronunciate dalle streghe o alcune pratiche di tumulazione dei morti, e malattie che davvero decimavano la popolazione pugliese, come la peste, e dalla quale ci si voleva liberare con tutti i mezzi possibili.
Nel tuo libro il vero è mescolato al falso, le leggende trovano ospitalità nella storia, e il mito si traveste di realtà. Che consigli puoi dare al lettore per non essere tratto in inganno?
Non c’è pericolo. è molto semplice. “Mescolare” il vero al falso non vuol dire che non “avverto” quando smetto di parlare di un pezzo di Storia e inizio a raccontare una leggenda. Lo faccio sempre, credo sia facilmente individuabile, a volte lo scrivo per esteso, altre volte lo introduco con i titoli dei paragrafi. Comunque è sempre molto chiaro, non volevo assolutamente che fosse possibile non rendersi conto quando cominciava la leggenda e finiva la storia. Perché è proprio questo che voglio fare nel libro: fornire la causa plausibile della nascita di una leggenda. Quindi, credo che il lettore non avrà difficoltà a rinvenire gli aspetti storici delle vicende narrate (riscontrabili, poi, anche nella propria cultura personale) che, di solito, si trovano a monte delle leggende che narro. C’è inoltre una sorta di cambiamento di stile di stile di scrittura tra i due tipi di racconto: affabulatorio e caldo per le leggende, più puntuale e critico per la storia.