Se Paganini avesse avuto una Stratocaster sarebbe stato svedese, e si chiamerebbe Malmsteen .E forse sarebbe stato altrettanto tamarro.
Però nominare la sua Olimpic White equivale ad avere la chiave d’accesso per il paradiso delle chitarre del secolo, insieme a Van Halen e Alirio Diaz.
Il re dell’hard-rock neoclassico è di nuovo fra noi e va vibrare corde e anime con “Perpetual flame”. Per la prima volta insieme a Tim Owens, vecchia conoscenza, l’ex Iced Earth amato dal pubblico ma ripudiato dalle bands: grazie a lui, epicità e solennità non si fanno pregare; e prima volta anche con la casa discografica Rising Force. Da un malloppo di ben 29 canzoni con cui è arrivato in sala registrazione, ha scelto, insieme a Roy Z dodici tracce, per settanta minuti di puro godimento. Tecnica ed emozioni, e velocità assoluta. Una pioggia di assoli dove tutti i colpi di vibrato arrivano sempre sulla nota giusta: questa chitarra canta, ti porta alle lacrime.
Yngwie ha sempre una chitarra affianco a sé, qualsiasi cosa stia facendo; così se ha un’illuminazione per un riff o una linea melodica, la mette giù immediatamente. In sala di registrazione, oltre al tastierista Derek Sherinian, al batterista Patrick Johnansson, a Michael Troy sempre su tastiere e a Bjorn Englen al basso, c’erano una Fender Stratocaster del 71, Fender del 68, un P-Bass del 51, un’acustica Ovation, una 12- string e un basso fretless. Scusate se è poco…
L’umiltà non è certo un suo tratto distintivo, visto che paragona il suo momento creativo a quello di Pablo Picasso o Leonardo Da Vinci e non è facile imbrigliare la propria tecnica per sprigionarla solo negli assoli o nelle parti strumentali, ma in questo disco non si ha mai l’impressione che le canzoni siano costruite intorno ad essi: “Now the demon is here again -Vengeance is burning in my soul – I am a soldier In the legion of forever – Ride on the storm – And never surrender -To death or glory – Keep on marching -On hallowed ground Until death or be victorious – Death dealer is on the hunt” …trovo bellissima questa opener “Deth dealer“, presentata in anteprima a Bologna al Gods of Metal 2008, giusto l’alleggerimento del songwriting, riusciti i mid-tempos nella dinamica globale, e quasi quasi gli perdono il fatto che il suo film preferito sia Hellraiser…
Tre i brani strumentali, “Lament“, “Caprici de Diablo” e “Heavy Heart”, non segnalati nel libretto e non si capisce perchè. Non scordererò “Priest of the Unholy“, con una parte centrale da brividi, i riff rabbiosi di “Four Horsemen” e “Damnation Game“, la ripetitiva”Eleventh Hour“, la solenne “Live to Fight“.
Le due canzoni che si discostano un po’ dal tenore generale sono “Red devil“, classico metal, e “Magic city” lento e un po’ stucchevole, a volte drammatico, ma su cui Yngwie accorda una gran voce, e ci riporta indietro ad atmosfere anni settanta.
E ragazzi…”Caprici di diablo” che cos’è…! Entra di diritto nella storia del metal…
“Heaven heart” è la degna chiusura di un album superbo.
Piccolo mistero per la traccia “Tied of desire“, presente nel libretto ma non nel disco: qualcuno dice che si tratti di un’operazione ad arte, un pensiero autobiografico di Yngwie, per ribadire il “the flame is still burning“.
Ma i passati libretti contenevano diverse imprecisioni, motivo per cui sono più propensa a pensare che il grafico abbia bevuto una birra di troppo…
Il mio consiglio?
Abbandonarsi all’ascolto di PF.
Molte, molte volte…
Rock On.