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THE RIFLES – Viper Theatre, Firenze, 24 aprile 2009

rifles4Sembra passata un’eternità da quando, nel 2002, i Libertines hanno in qualche modo segnato il tracciato della nuova british invasion, riuscendo ad imporsi come i capostipiti di un filone musicale derivativo fondato sulla facile alchimia di chitarre/coretti/ritornelli e brit punk/pop. Da allora è stato un continuo susseguirsi di giovani band che con fortuna alterna hanno tentato di salire sul carro del rock and roll revival, arrivando, nel migliore dei casi, ad accaparrarsi qualche copertina dei magazine di turno.

I Rifles fanno decisamente parte della categoria nonostante che ai tempi dell’esordio “No Love Lost”, targato 2006, si siano ritrovati assai lontani dai clamori della chiassosa stampa d’oltremanica impegnata a celebrare mediocri new sensation quali The View o Pigeon Detectives.

Sarà dunque per questo motivo, o molto probabilmente a causa di una promozione dell’evento poco mirata, che la presentazione del secondo lavoro della band londinese, dal titolo “The Great Escape”, è stata pressoché disertata dal pubblico: una cinquantina di persone per un Viper tristemente desolato.

rifles1Prescindendo dagli aspetti meramente promozionali, non essendo questa la sede più opportuna per trattarli, la penuria di pubblico è assai difficile da comprendere, soprattutto alla luce del fatto che i Rifles incarnano perfettamente tutti i cliché tanto cari ai cultori del filone più ortodosso e legato alla tradizione autoctona di un certo genere di produzione musicale inglese: piglio mod e proletario che si riflette nella tendenza a confezionare pezzi a metà strada fra l’inno di strada e il coro da stadio, oltre a un gusto spiccato per le ritmiche mediamente vivaci che danno alla melodia un umore spensierato e fischiettante, a tratti ballabile.

L’apertura è dunque affidata a “Science Is Violence”, pezzo energico che si muove fra intrecci chitarristici in primo piano e cori monastici a fare da sfondo. L’intera parte iniziale del concerto, quella che nelle intenzioni di Stoker e soci dovrebbe servire a scaldare il pubblico, viene logicamente a costituirsi di pezzi veloci e vivaci, che vivono di sprazzi di punk melodico. “Repeated Offender” e “Peace & Quiet” (dall’esordio “No Love Lost”) sono due schegge costruite su ritornelli e cori di facile presa, mentre la title-track “The Great Escape” è una staffilata di pop/rock melodico assai furbetta che s’insinua fin da subito nelle orecchie e da lì, dritta nel cervello.

rifles6Nonostante l’impegno e l’energia profusi dai Rifles, lo sparuto e sonnacchioso pubblico rimane piuttosto tiepido (al di là di qualche caso isolato). Di certo, una presenza scenica non particolarmente memorabile e la forte sensazione di “già sentito” non aiutano. Così come non aiutano le scelte di scaletta, dato che quella che idealmente può essere considerata la seconda parte dell’esibizione sposta il tiro dai motivetti di scuola Jam verso territori dai sentori vagamente smithsiani (nell’ordine “Out In The Past”, “History”, “Toerag” e l’acustica “Spend a Lifetime”), con il risultato di far cadere definitivamente in catalessi il pubblico.

Ci pensano le spensierate e solari “Romeo & Julie” e “Robin Hood” a tentare di riportare un po’ di energia sul palco, con il loro essere in bilico tra melodie pop cesellate ad arte ed intrecci chitarristici che vanno a sporcare il tutto. Giunge anche il momento di “The General” il pezzo più ruvido e caotico dell’intera produzione della band, capace a suo modo di distinguersi dall’eccessiva staticità monotematica del resto. In chiusura viene eseguita “Local Boy”, primo estratto dell’album d’esordio e vero e proprio manifesto programmatico dei Rifles, dove confluiscono tutte le abrasioni della frustrazione delle periferie proletarie inglesi che finalmente trovano la loro dimensione nella coralità e nello slancio liberatorio dei ritornelli.

rifles5Dopo poco più di un’ora di concerto i Rifles salutano e lasciano il palco senza concedere bis. Alla fine della fiera, sono più le perplessità che le certezze quelle alimentate da una band del genere, di cui viene naturale interrogarsi circa la reale ed effettiva necessità. Se da una parte è fuori discussione la capacità di creare melodie divertenti ed accattivanti che nella dimensione live riescono oltretutto ad esprimere il loro massimo potenziale, dall’altra si palesa l’eccessivo ricorso a soluzioni e stilemi creativi che appaiono ormai logori. Ed è proprio questo secondo aspetto che spinge alla riflessione circa la reale bontà di una tale proposta musicale, che pur essendo lontana dall’essere destinata a rivitalizzare un certo tipo di scena britannica ormai satura e pur non brillando per originalità e varietà, si fa comunque ascoltare.

Non si tratta di una bocciatura in tronco per i Rifles, i quali si dimostrano semplicemente nella media delle tante band neomod che popolano il sottobosco albionico. Ed il punto è proprio questo: ha ancora un senso, oggi, continuare a riproporre formule musicali che non hanno fatto altro che produrre giovani band di emuli dalle dubbie capacità artistiche e con alterne fortune commerciali?

a cura di Marco Luchini

foto di Alessio Mariottini

www.myspace.com/therifles

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