Un timbro vocale piuttosto educato, pulito, discreto ed espressivo quello di Barbara de Dominicis, per certi versi ricorda quello della bionda svedese Ane Brun o per altri versi quello di Rosana.
Al primo ascolto, il disco risulta, sin dalle prime tracce, un pò farraginoso da ascoltare, nonostante ci siano degli originali spunti spalmati per tutta la durata dell’opera.
Se fosse un film, usando il linguaggio comune, sarebbe a tratti “lento” e riflessivo.
Un aspetto molto interessante è invece la capacità di mescolare il mondo dell’elettronica avanguardistica raffinata, il jazz, il folk e la musica concreta al mondo rivisitatissimo della canzone napoletana e spagnola, richiami alla musica araba, passando per il british pop. Il tutto con estrema disinvoltura, eleganza e padronanza dei linguaggi impiegati, cambiando addirittura lingua da un brano all’altro. Tali mutamenti risultano così consoni da non essere quasi percepiti dall’ascoltatore.
Nella dodicesima ed ultima traccia ritroviamo un mondo sonoro e musicale filosoficamente vicino a quello di Bjork.
L’uso della chitarra acustica è piuttosto frequente, spesso intrecciato ad un contrappunto di pochi archi a piccole dosi. Presenti in sordina anche fiati come tromba e clarinetto.
Un disco da ascoltare con un bicchiere di vino bianco in mano, una tartina al caviale sul piatto e alla luce soffusa di una candela al profumo di rosa.