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Arctic Monkeys – Humbug

2009 - Domino
indie/alternative/rock

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Tracklist

1. My Propeller
2. Crying Lightning
3. Dangerous Animals
4. Secret Door
5. Potion Approaching
6. Fire And The Thud
7. Cornerstone
8. Dance Little Liar
9. Pretty Visitors
10. The Jeweller's Hands

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Ecco uno dei gruppi rock inglesi più giovani e più popolari degli ultimi tempi giungere al terzo disco. Cosa poteva succedere. Un tracollo (come succede a quasi tutti questi falsi “gruppi che faranno la storia” che il panorama UK, complici anche i media come NME, sforna a decine all’anno) oppure la conferma del successo.

La verità è che questo disco spiazza un po’ per i toni. Più cupo dei primi due lavori, più calmo ma meno commerciale, volendo. Josh Homme alla produzione ci ha messo il suo tocco ed è inevitabile sentirlo.

Lo sentiamo già nella traccia di apertura, My Propeller, probabile futuro singolo, genuino brano di 3 minuti (durata di otto pezzi su 10) che si fa ascoltare senza risultare comunque niente di innovativo. Particolarmente interessante il primo estratto Crying Lightning, tra le altre cose il pezzo più bello del disco, con un ottimo ritornello ed un bridge che ricorda certe tonalità oscure degli anni ’80 (forse dire Joy Division è dire troppo? Ma anche no.). Le più melodiche Secret Door e Fire and the Thud suonano quasi sdolcinate, grazie alla voce “melodrammatica” di Turner che conferisce un certo sapore amaro al tutto (fatevi un’idea anche tramite la pop ballad Cornerstone, davvero riuscita). Le influenze punk dei primordi ritornano evidenti in Pretty Visitors, un gran pezzo, forse anche il più originale dell’album.

Tante canzoni ricordano gli episodi meno ballabili dei dischi precedenti, soprattutto Potion Approaching e Dangerous Animals (con un riff in stile “If You Were There, Beware” o “Teddy Picker”), ma non sono per questo da sottovalutare (anche se contengono i tipici “catchy tunes” che prendono subito ma sanno stancare altrettanto presto).
Ottima la produzione, come già accennato, con suoni azzeccati, non troppo ricamati come i britannici li vogliono, ma con una patinatura retrò che gli conferisce un tono quasi dark. Tecnicamente niente da dire, i giovani se la cavano.

L’unico difetto è probabilmente l’assenza di novità, che anche se si può trovare tenendo conto dei cambiamenti fatti inquadra comunque la band in un panorama più standard di quello con cui erano partiti, inizialmente differenti dalla bolgia alla quale ora sembrano amalgamarsi. E’ comunque un gran lavoro, che non sconvolgerà ne contribuirà positivamente alla scena inglese/europea, lasciando comunque il segno per l’orecchiabilità e la sempre buona vena compositiva di queste scimmie.

Continuate così, e non spegnete i delay.

Voto: 7.5

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