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Giardini Di Mirò – Il Fuoco

2009 - Unhip
post/rock

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Tracklist

1. x
2. xx
3. xxx
4. xxxx
5. xxxxx
6. xxxxxx
7. xxxxxxx
8. ?
9. ??
10. ???
11. †
12. ††

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Addentratisi in territori a metà tra lo shoegaze e l’elettronica nel precedente “Dividing Opinions”, della band di Cavriago avevamo quasi ormai dimenticato la capacità di dipingere territori e immagini, stupefacenti affreschi musicali miracolosamente in grado di sorprendere ad ogni ascolto con la sola magnifica forza delle note musicali.
Erano i tempi di “Rise And Fall Of Academic Drifting” e di “Punk…Not Diet!”, i tempi di un maestoso post-rock orgogliosamente italiano che nulla sembrava aver da invidiare a certi maestri d’oltre manica.
Poi, si sa, le cose cambiano, prendono direzioni diverse, subiscono i più svariati influssi, ma la sorpresa, quella magica e irrimediabile sensazione, quella no, quella non cambia.
E così, dopo un parziale cambio di binario francamente ben accetto, i Giardini Di Mirò sono tornati a spogliarsi, di orpelli e parole.
L’occasione galeotta è “Il Fuoco”, pellicola muta d’inizio secolo alla quale, a quasi 100 anni di distanza, i Giardini Di Mirò hanno regalato – e mai termine fu più appropriato – una colonna sonora.

Diviso in tre momenti – “La Favilla”, “La Vampa”, “La Cenere” – “Il Fuoco” è una sorta di colossale sinfonia post-rock, dove umori, sensazioni e stati d’animo si fondono in un tutto sconcertante e sconvolgente.
I Giardini Di Mirò sanno essere alieni, glaciali, forse anche un po’ spaventati. “Il Fuoco” è un’impresa ardua, pericolosa, scivolosa. I sette brani che compongono la prima parte, “La Favilla”, vivono e si nutrono a distanza di sicurezza. Nascono come timide sonate da camera, ma piano piano si trasformano in sicure marce che quasi quasi, in un progressivo incedere, sembrano sfiorare uno strappo nervoso.
É “La Vampa”, probabilmente il capitolo più intenso e decisivo del trittico. Qui, i Giardini Di Mirò sono “Il Fuoco”, esplodono e si immergono senza tremare nell’onirica dimensione di una pellicola romantica e commovente. Superano la paura, superano se stessi in un rimescolamento di suoni dissonanti e al tempo stesso armonici: elettronica, chitarre, disturbi, batterie campionate, una sorta di noise post-atomico da far tremare, di gioia, le ginocchia. L’ultimo passetto prima della fine, il terzo episodio de “La Vampa” è puro dolore: disturbi elettrici di ogni sorta che si inseriscono tra i fraseggi di un violino lancinante e struggente. O forse è il contrario.
“La Cenere” è una paranoica marcia funebre, incentrata sulla batteria che scandisce insistentemente il tempo, in una sorta di terrificante e infinito lamento che si chiude in tripudio di spettrali sonorità elettroniche che piano a piano prendono il sopravvento e dipingono la fine con tinte sinistre.

Esperienza unica e irripetibile, “Il Fuoco“, è l’ennesima dimostrazione di forza e maestria da parte di una delle poche band che conserva ancora la fatale capacità di sorprendere, sempre e comunque.

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