La prima cosa che salta in mente è che questi, fuggendo da Tel Aviv, forse da qualche manicomio di Tel-Aviv, si siano iniettati nel sangue la vera essenza del rock, quella che nel nostro patinato mondo delle megaproduzioni neanche ci si sogna di nominare o ricordare.
I Monotonix vengono davvero da Tel Aviv, Israele, forse l’ultimo posto al mondo dove verrebbe in mente di suonare musica rock, questa musica rock.
E infatti, dopo aver provato a diffondere la propria sporca parabola nella Terra Promessa, dopo qualche nudità di troppo e qualche leggendario bagno di ketchup sul pubblico inerme ma, si narra, fottutamente estasiato, i Monotonix, ahinoi, sono stati bollati, bannati, proibiti da qualsiasi locale di Tel Aviv e, verosimilmente, dello stesso stato di Israele.
Levi “Ha Haziz” (Yomtov) Elvis, Moshe Vegas e Bonanza the Cat – questi i nomi dei nostri eroi – non si sono certo fatti spaventare dal proibizionismo occidentale trapiantato in Medio Oriente, o viceversa, poco importa.
Gambe in spalla, strumenti alla mano, stupefacenti in circolo e, ne siamo quasi certi, qualche grave disturbo psichico di contorno, i nostri sono emigrati dall’altra parte del mondo, a New York, Stati Uniti, non si capisce ancora bene se per trovare un’atmosfera più accogliente, o per farsi cacciare dai locali di tutto il globo.
Quello che conta, al di là di ogni supposta diagnosi psichica, è che i Monotonix, da due anni a questa parte, hanno macinato chilometri su chilometri, devastato palchi e timpani e, a distanza di decenni, hanno risvegliato in molti quel lurido mostro che è il rock’n’roll.
Musicalmente parlando li si potrebbe accostare all’eroico garage di Stooges e MC5 sommato al più bieco stoner rock dei primi Kyuss: essenziali, graffianti e sporchi, difficilmente noiosi, i Monotonix suonano più o meno come suonerebbe Iggy Pop se ne avesse ancora l’età.
Fantasticando un po’, potrebbero essere un bizarro e riuscitissimo esperimento bio-genetico, una sorta di mix tra GG Allin – di cui sembrano essere i tanto attesi eredi – Mike Patton – che in barba ad ogni divieto li ha voluti ad aprire un recente concerto dei Faith No More a Tel Aviv – e Borat – i cui echi burleschi e dissacranti sembrano aleggiare su tutto il complesso, inteso come trio e come disco.
Il tutto immerso in un mare di Jack Daniel’s ingurgitato e vomitato con frequenza allarmante e disarmante.
Come una sorta di virus pestilenziale, Youtube ne narra le gesta con raccapriciante perizia: crowd-surfing in bilico su tamburi pericolanti, passionali fans che si danno letteralmente fuoco (succede, davvero, nel Knoxville), nudità all’ordine del giorno sopra e sotto il palco e follia generale che non lascia tregua.
Sincera irriverenza o delirio da post-modernità malata, potrebbero essere una colossale farsa o la più grossa live band del pianeta.
Quello che ci interessa è che, lasciando il beneficio del dubbio a chi ne ha l’inutile bisogno, i Monotonix sembrano essersi catapultati da un altro pianeta giusto in tempo per dare un definitivo e vitale scossone alla storia del rock.
Godiamoceli.