Quasi obbligatorio il punto della situazione in casa Fear Factory. All’indomani della dipartita del mastodontico Dino Cazares, dopo il il mezzo passo falso di Digimortal, anno 2001, i nostri cercano di rattoppare il buco con soluzioni casalinghe, spostando alla chitarra il bassista Christian Olde Wolbers e reclutando il bravo Byron Stroud al basso. Purtroppo quello che ne consegue sono due album, scialbi e passati quasi inosservati. Quando tutto sembrava precludere ad uno scioglimento, il colpo di scena: il ritorno di Dino Cazares a cui fa, però, seguito la fuga dei veterani Raymond Herrera e del già citato Wolbers che non vedono di buon occhio il ritorno del “chico”.
Risanata l’amicizia tra Cazares e il cantante Burton C. Bell, richiamato il vecchio produttore Rhys Fulber, i Fear Factorypossono ripartire più forti di prima, perchè bisogna dirlo, il gruppo senza le rasoiate e il groove chitarristico di Cazares erano da pollice verso.
Questo disco è senza ombra di dubbio la miglior prova in studio dopo lo strepitoso Obsolete(1998). Nulla di nuovo nel suono Cyber-death-indunstrial dei Fear Factory, gruppo seminale negli anni novanta grazie ad una pietra miliare del genere come Demanufacture (1995) ancora oggi ineguagliato.
Bell è sempre lui, cantante versatile nell’alternare feroci growl a voci più melodiche e pulite come in Industrial discipline, presa di posizione contro i ritmi della società industriale che rendono l’uomo schiavo della produzione o come in Controlled Demolition eDesigning the enemy. Insomma, anche i temi trattati sono sempre i soliti cari ai Fear Factory, l’essere contro ogni entità che possa minare o togliere la dignità all’uomo, che siano politica, religioni ( come in Christploitation), o macchine infernali come la tecnologia se non usata con le dovute cautele.
Come non citare poi, l’entrata in pianta stabile alla batteria dello strabiliante Gene Hoglan, personaggio dal passato ingombrante e batterista tra i migliori sulla piazza in ambito thrash-death metal. Il suo apporto è basilare, basti ascoltare l’opener e titletrack Mechanize o le veloci e feroci Fear Campaign e Powershifter per rendersene conto.
I Fear Factory targati 2010, sono un gruppo che vuole rivendicare un modo di suonare metal di cui sono stati i precursori e Mechanize è un disco che non delude i fans, convincente dalla prima all’ultima nota e che soprattutto vuole riportare i Fear Factory nella posizione di merito che spetta loro.