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Black Rebel Motorcycle Club – Beat The Devil’s Tattoo

2010 - Virgin
alternative/rock

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Tracklist

1.Beat the devil's tattoo 2.Conscience killer 3.Bad blood 4.War machine
5.Sweet feeling
6.Evol
7.Mama taught me better
8.River styx
9.The toll
10.Aya
11.Shadow's keeper
12.Long way down
13.Half-state

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Viviamo in una società infame! Il mio intuito mi dice che il mondo ignorerà questo Beat the devils tattoo e la cosa mi spaventa più che rendermi triste. È un sintomo della malattia che spazzerà via il genere umano nella sua totalità, è la totale noncuranza verso le cose importanti della vita, verso i suoi fondamenti impossibili da ignorare.

Uno fa una mezza cazzata nella sua carriera (vedi Baby 81) e ti ritrovi a pagarne le conseguenze a vita, disprezzato e moribondo feto della musica rock punito da un errore di inesperienza o per aver riposto troppa fiducia in se stesso. Sarà molto difficile spiegare ai fans dei BRMC che questo è il loro miglior lavoro e che sarebbe giust o tributargli i dovuti onori. Tutto questo non vale assolutamente nulla, i più affezionati lo ascolteranno a fondo un paio di volte, ne prenderanno il succo in sintesi e poi lo lasceranno nel dimenticatoio per tornare ai loro Black rebel motorcycle club (l’esordio omonimo del 2001) e Howl, per loro Beat the devils tattoo significherà ancora meno che per un qualsiasi altro ascoltatore medio di rock contaminato. È vero che ora non è più il momento di “fare” i BRMC, non è più il momento di essere rock’n’roll e di rivaleggiare, per una ipotetica corona, con i White Stripes o gli Strokes e la tempistica nella musica è assai importante, se questo album fosse uscito nel 2001 quei quattro mentecatti dell’industria musicale se lo sarebbero slinguazzato per bene mentre erano intenti ad infilarsi piume d’equino nel culo nei loro sogni più re conditi da impresari di prima fascia con un bicchiere di vodka in mano e un sigaro cubano nell’altra, seduti su una sedia in pelle, belli spaparanzati a gustarsi un servizietto da una coniglietta appena tagliata fuori dal paginone centrale di playboy.
I loro sogni si infrangono qui, a quasi dieci anni di distanza da quell’epoca in cui o eri rock’n’roll o eri un ostaggio in mano ad Al-qaeda sulle aspre colline afgane, oggi sei probabilmente salvo, senza dover chiedere, in lacrime e con un AK-47 puntato alle tempia, alla tua nazione di liberare un certo numero di terroristi detenuti per salvarti la pelle o di ritirare un dato numero di militari dalla zona occupata, ma certamente non sei rock’n’roll. A vederla con onestà sembrano una marea di cazzate soprattutto se ci si accinge ad ascoltare il primo minuto e mezzo circa della title-track, sembrano quelli di sempre salvo poi smentire tutto nel ritornello, quando le chitarre si caricano di un riff simil-stoner suo nato davvero bene. Non essendo un lavoro lineare ci si può ritrovare ad ascoltare pezzi più tipicamente caratteristici del gruppo tipo Evol che va forte sulle linee di basso, rallentando un po’ la corsa nel ritmo, giusto per dare un respiro più ampio alle note. È sempre il basso a farla da padrone, con le sue note distorte, nella ritmica di Shadow’s keeper una bella cavalcata pesante quanto basta in un affascinante contrasto con la limpida e lamentosa voce di Peter Hayes.

Vi prego ditemi che siamo nel 2001. Voglio tornare nel 2001!

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