La parola “riposo” non esiste nel vocabolario di mr. White. L’intero secondo album dei promettenti Dead Weather si basa sull’opposto del termine in questione, vale a dire la “coscienza” intesa nel senso di: “svegliatevi, siamo tornati”. Sì, perché Jack e soci sono tornati, forse inattesi, forse di sorpresa, ma comunque sia adesso sono qui. Anche se in verità non se ne erano mai andati: il tour mondiale partito con l’album di debutto Horehound non era ancora arrivato al suo termine che già si erano ritrovati in studio a registrare i pezzi nuovi. Come dicevo prima, per loro non esiste requie.
Il primo LP era valido, e si sapeva, ma la vera prova per un artista in generale non è mai quella di debutto, ma la seconda: il talento di una band, la fantasia compositiva e le speranze dei fans devono essere tutte rispettate e contenute in un secondo disco soddisfacente. Sennò è solo l’ennesimo progetto a tempo perso dell’ennesima rockstar che ha tempo da buttare (e forse è quello che hanno pensato i più dopo aver saputo della improbabile collaborazione Jack White / Jay Z ).
Chi voleva i Dead Weather morti e sepolti dovrà invece ricredersi. Sea Of Cowards è il disco della conferma, quello che tutti aspettavano.
Gli elementi ci sono tutti: il leader degli White Stripes è sempre dietro le pelli e lascia il ruolo di cantante, salvo qualche sparuta eccezione dettate più che altro da slanci istrionici (I’m Mad), alla più accattivante e sempre più convincente Allison Mosshart la quale, per l’occasione, lascia il timbro alla nicotina che tutti amavano dei The Kills solo per qualche vocalizzo à la Janis Joplin, mentre per le restanti tracce sforna una voce tanto pulita quanto graffiante, perfetta.
L’alchimia sonora sperimentata nel debut album si riconferma qui con una rinnovata magia. I ritmi sono ossessivi, a volte claustrofobici; le geometrie compositive grezze e sfocate, come esige la più oscura tradizione urban blues. Tra riff al vetriolo e qualche reminiscenza al neon data da un maggiore uso dell’elettronica rispetto al passato (Gasoline) si passa per atmosfere noise rock di cui i Sonic Youth andrebbero fieri e versi che sanguinano blue blood blues.
I Dead Weather colorano il loro secondo album di un sound primitivo e a volte malinconico (Old Mary), ben sorretto dalla dura e cruda timbrica del basso di Jack Lawrence e dal drumming forsennato in controtempo della batteria.
Il pony azzoppato a cui si spara nel primo disco (New pony) torna a vivere tra le note delle canzoni grazie a cavalcate sonore degne del miglior purosangue (The Difference Between Us).
In conclusione, per rispondere alla domanda che ci si poneva all’inzio: i Dead Weather? Tutt’altro che un passatempo.