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Serj Tankian – Imperfect Harmonies

2010 - Warner Bros.
hard/rock/alternative

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Tracklist

1. Disowned Inc.
2. Borders Are...
3. Deserving?
4. Beatus
5. Reconstructive Demonstrations
6. Electron
7. Gate 21
8. Yes, It's Genocide
9. Peace Be Revenged
10. Left of Center
11. Wings of Summer

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“Armonie imperfette”, questa la traduzione del titolo del secondo album (ma terza uscita discografica, considerato il live orchestrale “Elect The Dead Symphony”) del percorso solista di Serj Tankian, l’ex leader dei System Of A Down, che in qualsiasi progetto continua a dimostrare la sua tenacia e qualità artistica. Lasciando in disparte le speranze, sempre più realisticamente interpretabili come previsioni, di una reunion dei SOAD, il cantante armeno pubblica questa nuova fatica che, in realtà, non tutti digeriranno con facilità. E’ un burbero miscuglio di alternative, jazz, classica (sinfonica) ed elettronica, che quasi fa dimenticare, per certe sue caratteristiche di pesantezza e corposità, l’anima più radiofonica del suo predecessore “Elect The Dead”.

E’ innegabile come questo disco segua la naturale parabola evolutiva del ritrovato “cantautore”. L’ultimo tour aveva letteralmente impregnato di musica classica i suoi vecchi brani e il risultato è piaciuto così tanto all’armeno che questo disco sembra composto proprio a partire dall’orchestra. Effettivamente le linee di continuità con il primo lavoro non sono molte, anche se sotto il punto di vista della mera facilità di ascolto battono tutto il resto. A rappresentarle ci pensano “Left of Center” e “Deserving”, i brani più banali a livello strutturale ma che risultano, in verità, i più interessanti, incredibilmente catchy ed immediati, forti di ritornelli poderosi e vagamente ballabili, uniti a melodie di base che scivolano via leggerissime. E’ con “Borders Are” ed “Electron” che lo stile della “prima-epoca-tankiana” si congiunge con quello nuovo. Qui la composizione di un pezzo dall’attitudine “easy”, e pertanto orecchiabile, si adagia educatamente sull’appariscente presenza delle componenti sinfoniche che donano nuova luce al suo appeal intrinsecamente affascinante, nella misura in cui interpreta l’immancabile necessità di una ricerca di un impianto dall’effetto deciso ed univocamente recepibile come “d’impatto”. “Electron”, perfetta, supera il beat di “Borders Are” per la natura da spirito libero con la quale Serj infila le parole in quest’ultima; in alcuni frangenti, infatti, il cantante cede nella ricerca metrica, biascicando talune frasi in maniere che sembrano quasi improvvisate, nonostante il brano resti sopra la sufficienza. L’album, ripetiamo, è sapientemente cosparso di elettronica, presente con dosaggi diversi in tutti i brani citati, ma più massicciamente stipata in “Disowned Inc.”, a cui è affidata l’apertura di tutto il lavoro, una delle canzoni meno prevedibili in quanto a costruzione e che si fregia di parti sintetizzate dall’incedere quasi techno che gli conferiscono un pregevole carisma da brano epico.

E poi viene la parte nuova, quella per ovvi motivi più lenta ed emotiva, dove archi e pianoforte sono coprotagonisti, insieme alla voce, di brani melodrammatici come “Gate” e “Peace Be Revenged”, quest’ultima possente tentativo, seppur non ufficialmente dichiarato, di tradurre in musica chissà quale tragedia greca. Ma la vera perla è intitolata “Yes, It’s Genocide”, cantata nella lingua nativa dell’artista armeno attualmente trapiantato in Nuova Zelanda, manifesto finale della sua decennale lotta politica per far riconoscere ufficialmente il genocidio del suo popolo perpetrato nei primi anni del novecento ad opera dei turchi, un avvenimento sempre poco considerato sia nelle dissertazioni da comizio che nei libri di storia. Finalmente Obama gli ha dato retta e il brano, anche per queste ragioni, diventa simbolico come punto d’arrivo di un percorso che Serj dal suo debutto nello star system non ha mai mollato. Straziante, malinconica e sensibilmente tetra, risulta subito la sorpresa dell’intero disco.

Serj, sul piano lirico, non teme confronti. Infila parole su parole che come un flusso poetico toccano politica, vicende personali e riflessioni dell’autore, sempre attento a recitare i suoi testi in quella maniera drammatica e profonda che il suo personalissimo timbro gli permette di esprimere al meglio.

L’unico punto debole di Imperfect Harmonies, se esiste, può essere solamente quello di essere meno riconoscibile ad un fan tipico dei System Of A Down, e purtroppo si sa che molti ascoltatori di musica vengono facilmente scontentati di fronte al “cambiamento” dei loro beniamini, soprattutto quando è radicale. Opinione personale del recensore è che aerare la stanza sia uno dei pochi modi di non farla puzzare di vecchio, e quindi ben vengano stravolgimenti come questo, soprattutto se producono dischi di qualità. Come appunto, “Imperfect Harmonies”, ulteriore palesamento dello spessore artistico e dell’imprescindibilità di un grande artista, e uomo, come Serj Tankian.

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