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Il Venerdì

Il Venerdì di ImpattoSonoro #4: il fattore ics

Non smette di esistere, e non smetterà di farlo tutti i venerdì questa fondamentale rubrica dedicata fondamentalmente al nulla. Perchè dopo una settimana e più di fatica, abbiamo bisogno di oziare, parlare di cose di cui parleremmo in un qualsiasi bar sport globale, o seduti su una panchina tra una trentina d’anni, ma più probabilmente anche prima.
Oggi si parla di talenti sprecati, mancati e abusati.

a cura di Fabio Gallato.

Una volta era più facile.  Ti dicevano talent show e pensavi alla Corrida, pernacchie dalle ascelle, imitazioni di campane e fuochi d’artificio, balletti improbabili e improponibili curve da stadio animate da set di pentole e campanacci altoatesini che neanche al gran gigante di Kitzbühel.
Un talent show al ribasso, dove, al di là dell’abilità vera nel saper emettere note musicali da qualsiasi orifizio o incavo, la questione del talento si esauriva in una scoppiettante manica di individui dall’indubbio disagio sociale che si metteva in gioco per quei canonici quindici minuti di ridicola celebrità.
Cose da raccontare ai nipotini, cose da tacere per la vergogna, cose da riguardare in futuro su Youtube, cose sempre e comunque da intrattenimento leggero, per un salutare divertimento che, com’è giusto che sia, finiva tutto nel giro di un sabato sera.
Era una visione divertita, divertente e dissacrante del talento, di cui la vera forza era proprio la negazione del talento in senso lato.

Oggi le cose sono cambiate, la vita è un po’ più difficile e  i palinsesti sono sempre troppo grandi e deserti per riempirli di imbarazzanti fiction girate, per dirla alla Renè Ferretti, a cazzo di cane.
Il talento va cercato per davvero, almeno in tv, ed ecco fioccare show televisivi che spulciano commesse, operai e studenti alla ricerca della new big thing della musica popolare, un modo come un altro per piazzare in prima serata una disperata vetrina promozionale per un’industria discografica in crisi e più che mai bisognosa di fenomenini temporanei per monopolizzare radio e scaffali da novembre a San Remo e via dicendo.

Non vi tedieremo con un venerdì di ImpattoSonoro più serioso del solito che sparli dei vari Amici, Pop Stars, Saranno Famosi, Operazione Trionfo e via dicendo.
Ci limiteremo solo a X-Factor, giusto perchè la sua quarta edizione è finita l’altro ieri, e giusto perchè, probabilmente sbagliando, ci è sempre sembrato un qualcosa di più di un penoso sfruttamento di illusioni altrui a fini meramente commerciali.
Ci sbagliavamo di grosso.
La quarta edizione ha toccato il fondo per più aspetti.

La quarta edizione ha piantato le sue fondamenta nello sfruttamento più o meno consenziente di fenomeni da baraccone, macchiette e disagiati vari arieggiati con una ventata di seriosità e lanciati in orbita con lo scopo ben preciso di mostrare a tutti l’amabile filosofia del “qui si dà una chance a tutti”.
Stefano, quello-che-balbetta, stereotipo del ragazzo con problemi che solo la musica può risolvere, che quando canta sembra un angelo, commovente, emozionante, ma palesemente inadeguato e impreparato. Ha fatto piangere tutti per un paio di puntate, ha fatto gridare al miracolo, ma poi, visto che la sensibilità ha sempre un limite, gli hanno intimato di levarsi dalle palle regalandogli come premio di consolazione una comparsata in finale con tanto di sottotitoli durante la sua intervista, incredibile segno di intelligenza, finezza e tatto.
Nevruz, operaio modenese in cassa integrazione, immancabile esponente di un rock morto e sepolto, che un giorno trionferà, ma che non vince mai. Ha sorpreso tutti alla prima puntata, poi si è messo ad urlare come una vaiassa qualsiasi e alla fine se n’è andato, in finale, dimenticandosi le parole del proprio inedito, rotolandosi in un mare di monnezza e salutando tutti con un fin troppo ottimistico «finalmente si tromba!».
I Kymera, improbabile coppia gay, esempio vivente di quello che nessun gay vorrebbe che un gay fosse in televisione, trattati da tutti con un’aria forzatamente indifferente e normale da sembrare anormale. Sono stati cacciati in semifinale, dopo averci costretto all’omofobia un po’ tutti, con un inedito orribile che gli aprirà la strada ad una luminosa carriera tra feste di paese e comparsate su imbarazzanti tv locali.
Sono tutti personaggi di uno show in caduta libera, una baracconata sempre meno giovanile e sempre più nazional popolare, un talent show di nuovo al ribasso, ma meno divertente e di cui stenteremo a ricordare le poche cose belle. Come ad esempio le tette della Tatangelo.

Ah, per la cronaca ha vinto Nathalie, evidentemente la più brava, in una finale surreale con il padre di Davide, un diciassettene dall’esistenza segnata, ennesimo clone dei vari Marco Carta e Valerio Scanu, plagiato da quel poco che rimane di Francesco Renga e pettinato come una terribile fusione tra Justin Bieber e Carlo Pastore.
Nathalie, 30 anni, avrebbe la stoffa, la voce, la preparazione e la cultura musicale per poter fare qualcosa di importante, ma non è troppo difficile scommettere in una carriera inutile alla Lara Martelli (e non ce ne voglia).

É andata così, siamo stati maledettamente seri, attenti e concentrati.
Per coerenza, concludiamo nella stessa maniera, segnalandovi e promuovendo l’iniziativa di tale Emolo (Amos) Tenerini, manager musicale più che sessantenne, in passato al lavoro con Genesis, Aerosmith e, ahinoi, Mondomarcio.
Si è messo in testa di voler entrare al Grande Fratello e francamente, e per più di qualche motivo, lo capiamo. Con un paio di amici rapper ha registrato questa irresistibile canzone, “Sono io il Grande Fratello”, un tentativo per ora riuscistissimo di scalare la classifica delle migliaia di pretendenti ad entrare nel reality show più famoso del mondo.
Non abbiamo paura a dirlo, non abbiamo paura a impersonare il pensiero dell’Italia intera, in tutte le sue fasce d’età.
Emolo è il nonno, il padre, lo zio, il fratello, il nipote, il suocero che vorremo tutti avere.
Eeefffatelo entrare!

a cura di Fabio Gallato

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